Trilogia del terrore secondo il Prof. Lanzi: demoni, leoni e procioni assassini

1. Il demone meridiano (La bisa d’acua)
Nell’estate del 1994 (dieci giorni prima che l’Italia del pallone perdesse – sigh – la finale dei mondiali ai rigori contro il Brasile), accettai di accondiscendere la passione di mia moglie per l’antico popolo degli Etruschi. Non saprei elencare qui, su due piedi, i vari siti archeologici visitati durante quella vacanza in Toscana, tuttavia ricordo così bene quanto accadde l’ultimo giorno da raccontarlo come se fosse successo… poco fa.28458cdaab30e9af9c1b84a88ac388e1
Dopo la visita all’ennesimo scavo archeologico, la guida ci informa che solo due km più a valle era stato aperto un altro cantiere. Guardo mia moglie e sbotto: – Nooo, basta. È mezzogiorno, ci sono 40 gradi, già il demone meridiano si avvince al mio stato accidioso. Se proprio vuoi andare, questa volta vai da sola, io resto qui. Vai pure, ti aspetto. Senza dire una parola, con un’espressione a mezza via fra il compartimento e il disprezzo, si incammina verso il sito. Intanto io, guadagnata l’ombra di un leccio secolare, mi accoccolo su una sporgenza petrosa. Ben presto mi assopisco, comodamente assiso sul mio trono di pietra. Dopo un vago lasso di tempo avverto uno strano sibilo, apro gli occhi e… la testa di un serpente è a pochi centimetri dal mio viso. Sono rigido; di più, paralizzato; di più, litico. Riesco solo a pensare che la serpe potrebbe scambiarmi per una pietra (va beh, una grossa pietra). Ci sono dei momenti in cui hai la percezione che il tempo non esiste. Non scorre. Non saprei dire quanto tempo (un minuto? Tre? Dieci? Chissà… ), il serpente resta lì a fissarmi. Ad un certo punto, scivola lentissimo a terra, poi sguscia via. Non saprei dire nemmeno per quanto tempo (Dieci minuti? Quindici? Trenta? Chissà… ) rimango così perfettamente rigido; di più, di sasso.
– Ehi – la voce di mia moglie mi scuote – cosa ti è successo? Ti lascio qui, con il tuo bel faccione paonazzo, quasi fucsia, e adesso, cos’è quell’aspetto ceruleo? Forse hai visto il demone meridiano? –
2. Abbasso lo zoo

A mezzogiorno esatto del 3 marzo 2005 mi fu data l’esperienza di intuire il terrore che per milioni di anni dovettero subire i nostri antenati ominidi nel difendersi da animali feroci. Mi trovavo davanti ad una gabbia nello zoo di San Pietroburgo. Un giovane leone africano vi era staattacco-leone-foto-atif-saeed-1to proditoriamente rinchiuso pochi giorni prima. Si muoveva nervosamente, avanti e indietro, avanti e indietro senza fermarsi, costretto nei pochi metri quadri di quell’angusta prigione, di certo non dimentico della sua sconfinata savana. Ad un certo punto si fermò sul fondo della gabbia. Mi sporsi fino a ridosso delle sbarre ed ebbi l’ardire di fissarlo negli occhi; occhi che parevano quelli di “Caron dimonio dagli occhi di brace”. Fu solo un istante; Il leone si scagliò con furia inaudita contro le sbarre, come per attaccarmi,. Spalancò le fauci e.. rooaaarrr… mi lanciò addosso tutta la sua rabbia di giovane schiavo; un ruggito così potente che, indietraggiando di colpo, atterrito e impotente, “caddi come corpo morto cade”. In Africa c’è un proverbio: “Chi ha sentito il ruggito del leone, corre più forte”.

Verissimo.

3.  L’innocuo procione

Anche a raccontarla seriamente – questa storia – non la crederebbe proprio nessuno. Per fortuna mia moglie fu testimone del fatto ed è lei che ne tiene vivo il ricordo, ironizzando sulle mie frequenti disavventure (o, più volgarmente, sulla mia impareggiabile sfiga).

Nell’estate di molti chili fa, eccomi in cammino, assieme alla mia consorte, nel Parco delle Foreste Casentinesi. Per una delle tappe del percorso avevamo prenotato una notte in un rifugio gestito dalla sede del CAI di Stia (Arezzo). Dopo una bella serata con alcuni soci del CAI, scopriamo che avremmo dormito completamente soli nel rifugio e, quel che è peggio, senza energia elettrica. Muniti di una piletta saliamo al piano superiore. Ci sono due stanze: un ripostiglio di due metri per due e una grande camerata, senza mobili né sedie; solo cinque o sei letti singoli che, illuminati da quell’esile fascio di luce, sembrano ambigue carcasse. Che silenzio!  Chiudiamo le finestre. Stendiamo i sacchi a pelo. Che silenzio! Proviamo a dormire. Maria dorme. Io no. Ho uno strano presagio. Che buio, che silenzio. Mi addormento anch’io. Ad un tratto avverto un peso sui piedi. Mi sveglio di soprassalto. C***o, qualcosa o qualcuno mi sta camminando sopra le gambeeee!
– Chi c’è? – Urlo.
Maria si sveglia e grida: – Chi c’è cosa? Stai sognando o cosa? –procione-300x225
– Accendi quella pila!- Grido terrorizzato, – Qualcuno mi ha camminato sulle gambe!-
Sentiamo entrambi la corsa di un animale sul pavimento di legno. Punto la luce di qui e di là: sui letti, sulle pareti, ed ecco, sull’incrocio delle travi, spuntare il muso della bestia.
Maria esclama: – Guardalo bene, è un procione! –
Non faccio neanche in tempo a guardarlo che fa un balzo e corre dritto dritto nel ripostiglio.
Porca boia, adesa at’scanti mi, al me procione.
Faccio anch’io un balzo e chiudo la porta del ripostiglio. Poi spingo un letto contro la porta: – Toh, al me procione, reva la porta adesa! –
Mia moglie, totalmente ignara del mio spavento (roba da caghers adoss da la paura), comincia la sua lezione faunistica sul procione americano, chiedendosi come mai si trova in questo ambiente. – Se vive in America  – dico io, riguadagnando per un istante l’italiano, ma perdendolo subito, scosso di nuovo da fremiti incontrollabili –  co fal chi, col maledet nimel propria sul me lèt??? –
Non si dorme. Per tre ore almeno il procione raspa contro la porta. Poi, silenzio. All’alba, finalmente, luce. Apriamo con timore la porta del ripostiglio. Il procione ha aperto le persiane e se ne è andato, complice un robusto ramo di faggio prossimo alla finestra.
Nessuno osi parlarmi dell’orsetto lavatore né del suo bel musetto. Per me, fu solo… paura bestiale!
Luigi Lanzi

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