Morire a dieci anni. In memoria di un ragazzino ritrovato nel carrello di un aereo

Una notizia che non si può leggere” mi dico mentre il lancio ANSA mi passa davanti agli occhi. Parole che fanno abbassare gli occhi e distogliere lo sguardo.

” Il cadavere di un bambino “di una decina d’anni” è stato ritrovato stamattina nel carrello di un aereo di Air France atterrato all’aeroporto parigino di Roissy Charles de Gaulle in provenienza da Abidjan, in Costa d’Avorio.  Lo si apprende da fonti della polizia.”

E invece la notizia dalla quale istintivamente vorrei allontanare gli occhi, mi resta in testa e il pensiero di quel bambino senza nome mi accompagna per tutta la giornata. Ha un anno di meno di mio figlio. Come ha fatto a salire nel vano del carrello? i suoi genitori lo sapevano? Lo hanno incoraggiato a questo viaggio della speranza? o lo stanno cercando?

La mia memoria va al 1999 quando due ragazzi Yaguine Koïta e Fodé Tounkara morirono nello stesso modo, nel vano carrello di un aereo, atterrato a Bruxelles e proveniente dalla Guinea Conakry.

Con loro avevano una lettera. Rileggerla oggi mi sembra un modo doveroso di fermarsi davanti ai sogni e alle speranze di quel bambino di dieci anni ancora senza nome. Un modo per affermare quali diritti dovrebbero essere garantiti ad ogni bambino.

 “Loro eccellenze i signori membri e responsabili dell’Europa,

Abbiamo l’onorevole piacere e la grande fiducia di scrivervi questa lettera per parlarvi dello scopo del nostro viaggio e della sofferenza di noi bambini e giovani dell’Africa.

Ma prima di tutto, vi presentiamo i nostri saluti più squisiti, adorabili e rispettosi, a tale fine, siate il nostro sostegno e il nostro aiuto, siatelo per noi in Africa, voi ai quali bisogna chiedere soccorso: ve ne supplichiamo per l’amore del vostro bel continente, per il vostro sentimento verso i vostri popoli, le vostre famiglie e soprattutto per l’amore per i vostri figli, che voi amate come la vita.

Inoltre per l’amore e la timidezza del nostro creatore Dio onnipotente che vi ha dato tutte le buone esperienze, la ricchezza e il potere per costruire e organizzare bene il vostro continente e farlo diventare il più bello e ammirevole tra gli altri. Signori, membri e responsabili dell’Europa, è alla vostra solidarietà e gentilezza che noi gridiamo aiuto in Africa. Aiutateci, soffriamo enormemente in Africa, aiutateci, abbiamo dei problemi e i bambini non hanno diritti. A livello dei problemi abbiamo: la guerra, la malattia, il cibo etc.; quanto ai diritti dei bambini in Africa, e soprattutto in Guinea, abbiamo molte scuole con una grande mancanza di istruzione e di insegnamento, salvo nelle scuole private dove si può avere una buona istruzione e un buon insegnamento, ma ci vogliono molti soldi, e i nostri genitori sono poveri, in media ci danno da mangiare. E poi non abbiamo scuole di sport come il calcio, il basket, il tennis etc. Dunque in questo caso noi africani, e soprattutto noi bambini e giovani africani, vi chiediamo di fare una grande organizzazione utile per l’Africa perché progredisca. Dunque se vedete che ci sacrifichiamo e rischiamo la vita è perché soffriamo troppo in Africa e abbiamo bisogno di voi per lottare contro la povertà e mettere fine alla guerra in Africa. Ciononostante noi vogliamo studiare e noi vi chiediamo di aiutarci a studiare per essere come voi in Africa infine: vi supplichiamo di scusarci moltissimo di avere osato scrivervi questa lettera in quanto voi siete degli adulti a cui noi dobbiamo molto rispetto. E non dimenticate che è con voi che noi dobbiamo lamentare la debolezza della nostra forza in Africa. Scritto da due bambini guineani  Yaguine Coita e Fodè Tounkara

Primo Levi ha scritto alcuni versi che mi tornano alla mente:

“Ricorda il tempo, 

Prima che si indurisse la cera, 

Quando ognuno era come un sigillo.

Di noi ciascuno reca l’impronta

Dell’amico incontrato per via;

in ognuno la traccia di ognuno.

Che ognuno di noi possa essere cera morbida e si lasci toccare da fatti e persone, che la notizia di un bambino morto a dieci anni  -in questo modo – si imprima in noi come un sigillo.

Francesca Pelosi

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