Il mio Erasmus in sette parole

Cosa vuol dire partecipare ad un progetto Erasmus? Quante sfumature si celano dietro queste sette lettere? Davvero tante. È difficile spiegare a qualcuno cosa si provi, sono esperienze uniche che dovrebbero essere vissute, non descritte. Ma, per raccontarvi brevemente la mia esperienza, ho cercato di riassumere il tutto in sette parole (o brevi frasi) che a mio avviso hanno colorato positivamente queste calde giornate e che mi hanno accompagnato nel corso di questa fantastica esperienza. Sette, come le lettere della parola “Erasmus”.

E come “Estero”. Tutti i progetti erasmus ruotano attorno a questa parola chiave. Nel mio caso il paese in cui ho svolto la mia esperienza era la Spagna, a Siviglia. Tre settimane in un posto lontano con persone sconosciute. Si può chiedere qualcosa di meglio?

Plaza de Espana (Spain square) in Seville, Andalusia
Plaza de Espana (Spain square) in Seville, Andalusia

R come “Ripartire da zero”. Quante volte avreste voluto ricominciare daccapo la vostra vita? E quante volte l’avete effettivamente fatto? Per me questa è stata la volta buona. Niente pregiudizi, niente preconcetti: per qualche settimana sono una persona nuova.

A come “Andiamo a fare la spesa?”. Sì, perchè avere il frigo pieno è una grande soddisfazione. Davvero, non sto scherzando, è proprio bello. Se poi riesci ad organizzarti per avere tutto il necessario per un bel po’, così da non dover tornare al negozio, allora lì sai di aver fatto un buon lavoro, e puoi farti pat pat sulla spalla da solo.  Il tragitto dal supermercato a casa con cento borse della spesa non è proprio altrettanto soddisfacente, ma sorvoliamo.

S come “Scantarsi”. Un termine tanto dialettale quanto eloquente, traduzione: svegliarsi. Una cosa che devi imparare da subito: ti devi dare una svegliata il più in fretta possibile ed essere autonomo. Poi ci saranno quelle volte in cui farai una lavatrice e la maglietta bianca diventa misteriosamente verde, ma è proprio lì che scoprirai l’esistenza dell’acchiappacolore.

M come “Ma cosa stanno dicendo?”. Probabilmente è la frase che ho detto di più in questo viaggio (e se non l’ho detto, di sicuro l’ho pensato). Quando sono partita, in spagnolo sapevo dire solo “buongiorno”. Pensate che situazione interessante quando mi sono trovata a lavorare con persone che parlavano spagnolo velocissimo. Ma è qui che entra in gioco il fattore S (precedentemente citato nel paragrafo qui sopra) e, un po’ con l’inglese, un po’ a gesti, ci siamo ampiamente capiti (e guai a chi mi viene a dire che in spagnolo basta solo aggiungere le esse alla fine delle parole).

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U come “Usciamo”. Sei in un altro paese, uscire è d’obbligo. Quando non esci per andare al lavoro (sì, perchè il progetto è uno stage lavorativo, e ad ogni ragazzo all’inizio dell’esperienza è stata assegnata un’impresa presso cui svolgere il tirocinio), e hai un po’ di tempo libero, farsi un giro in città risulta davvero piacevole. A Siviglia si può spaziare dallo shopping all’arte, dalla cultura allo sport, insomma, ce n’è per tutti gusti. Ovviamente, a patto che non ci siano 40 gradi all’ombra, e che tu non sia stravolto di sonno.

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S come “Stasera cucino io”. Le persone che sanno preparare qualcosa di commestibile vengono venerate come Dei. In realtá io non ho mai capito se lo fanno perchè apprezzano mettersi in gioco, oppure perchè hanno paura di morire avvelenate da quello che i “gastro-negati” preparano. In questa esperienza ci siamo messi ai fornelli un po’ tutti, a rotazione, e considerando che nessuno è stato ricoverato all’ospedale per intossicazione alimentare, direi che possiamo ritenerci abbastanza soddisfatti.

 

Giulia Volpato

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