Quella che stiamo vivendo è senza dubbio una delle esperienze più strane che gran parte di noi ha vissuto nella nostra vita. La solitudine forzata di questa quarantena è qualcosa che non abbiamo mai sperimentato, a cui facciamo fatica ad abituarci, e questa condizione ci spinge a diventare tutti un po’ più egocentrici, a metterci in primo piano, a pensare solo ai nostri problemi, tanto da venirne fuori con frasi come “Ma tanto muoiono solo gli anziani e le persone già malate”. Davanti a questa frase che definire disumana è dir poco, il mio desiderio è che tutti noi, nel nostro piccolo, provassimo ad immaginare se fossimo noi nella situazione di chi è fragile. Avremmo bisogno di immedesimarci in chi soffre, in chi ha realmente dei problemi seri di salute, e provare a pensare cosa faremmo se sentissimo gli altri dire questo di noi: non potremmo sopportare niente del genere. Le difficoltà esistono per tutti, e al posto di dire queste frasi infelici dovremmo imparare a tendere la mano, a pensare “potrei essere io”, ad ascoltare, a piangere e a condividere i sentimenti.
Il problema più grave non è non riuscire a trovare il lievito per fare la pizza, oppure non poter andare a fare la nostra solita passeggiata al parco. I veri problemi si possono leggere negli occhi terrorizzati di chi soffre di diabete o di malattie respiratorie croniche e vede gli altri andare in giro senza mascherina, pensando ai rischi che correrebbe se anche una sola persona fosse infetta e asintomatica.
I veri problemi si leggono negli occhi degli infermieri, dei dottori, di chi rischia la propria vita per gli altri e che quando alla sera torna a casa vive nel terrore di non aver lavato bene le mani e di aver messo a rischio anche la salute della propria famiglia, ma che non ha più la forza di pensare perché crolla esausto sul divano, stremato dai lunghissimi turni. I primi giorni dell’epidemia a Codogno i medici che gestivano il reparto di medicina generale, da dove il virus ha iniziato a diffondersi, hanno fatto turni continuativi di più di due giorni, perché nessuno li sostituiva. E immaginatevi come si sente chi ha come compito curare la vita e ogni giorno vede decine di persone che nonostante le cure non ce la fanno, che muoiono sole senza poter vedere la propria famiglia un’ultima volta. E pensiamo anche a chi sta bene ma piano piano vede le persone a cui tiene spegnersi lentamente, una dopo l’altra. Atroce.
Questa nuova realtà colpisce duramente anche una delle parti più fragili della popolazione. Si stima che in Italia siano 17 milioni le persone affette da malattie psichiatriche di vario tipo, dall’ansia alla depressione. Forse in tutto questo ci siamo dimenticati anche di loro, di chi ci sta mettendo il doppio della forza di volontà e della fatica per affrontare gli effetti del distanziamento sociale.
Il mio pensiero va anche a loro, il mio pensiero va agli ultimi, a quelli che tendiamo a dimenticare più velocemente nel cieco egoismo che ci muove e che ci spinge ad infrangere le regole per andare a comprare una birra al supermercato oppure per andare a correre nei parchi. Come possiamo pensare che continuando così “andrà tutto bene”? Andrà effettivamente tutto bene quando saremo mossi dalla compassione, quando nei dolori degli altri vedremo riflessi i nostri, quando lasceremo indietro il nostro ego per essere umani nella collettività. Allora sì, potremo finalmente dire fiduciosi e sicuri “Andrà tutto bene”.
Giulia Volpato