Sono da poco tornata da Dublino. Tre settimane in Irlanda insieme a due colleghe e quindici studenti delle classi terze per il PON sul potenziamento della cittadinanza europea. O, meglio, per un progetto del Programma Operativo Nazionale finalizzato al potenziare la consapevolezza di appartenere a una comunità più vasta rispetto a quella locale o nazionale, vale a dire l’Unione Europea. Di sicuro un progetto ambizioso e attuale, direi quasi necessario in questi tempi di divisioni, muri e secessioni. Gli obiettivi prefissati sono stati raggiunti da tutti gli studenti partecipanti, c’è stata una collaborazione straordinaria fra le varie componenti coinvolte nel progetto, l’accoglienza delle famiglie ospitanti è stata ottima, le numerose visite che hanno spaziato dall’arte alla storia alla natura sono state interessanti e il corso di lingua si è rivelato proficuo. Questi in sintesi i dati che si trovano nella relazione finale del tutor.
Tuttavia quello che ora rivedo passare nella mia mente sono cinque immagini, apparentemente slegate fra loro.
La prima, una soffice nuvola di tulle rosa. Una bambina di tre o quattro anni dai tratti orientali con gli occhioni spalancati che, sullo sfondo del parco di St. Stephen’s Green in piena fioritura, il papà fotografava con infinito amore accanto alla mamma. Lui con i colori tipicamente irlandesi -occhi chiari, capelli rossi, carnagione pallida-, la mamma con colori più scuri dell’Oriente.
Eravamo stati il giorno prima a Belfast e avevamo incontrato due ex-terroristi, uno dell’IRA e un altro degli Unionisti, che ci avevano dimostrato quanto la pace in una terra così vicina a noi e ora minacciata dalla Brexit sia ancora lontana. We are still at war, ci avevano detto. Niente poteva creare un contrasto così netto fra i colori cupi della guerra a Belfast e la bimba in rosa, di cui non conoscevo affatto la storia ma che rappresentava tutto l’amore possibile in una realtà non solo irlandese in cui l’odio è ancora presente.
La seconda immagine è quella di due muratori che, in un momento di pausa mattutina, prendevano il te nel bar accanto alla nostra scuola. Vestiti con il casco protettivo e il gilet giallo, parlando con un accento irlandese che io mi sforzavo inutilmente di capire, prendevano l’Irish tea nelle tazze di porcellana e imburravano gli scone con le loro mani da lavoratori. Scena di certo ordinaria a Dublino, che però mi sembrava lontanissima da quanto avrei potuto vedere in un bar a Parma. Ho realizzato quanto le tradizioni siano forti, ed importanti, perché costituiscono il tessuto connettivo di un popolo, di un’identità che va oltre le differenze sociali.
I ragazzi sono i protagonisti di un altro fotogramma che vedo scorrere nella mia mente. In un mattino di pioggia, in attesa del treno per Bray in una stazione semideserta, abbiamo scorto un pianoforte. Francesco si è messo a suonare River flows in you di Yiruma. Mentre la musica si diffondeva, i suoi compagni lo hanno circondato ammirati e i pochi passeggeri presenti lo hanno applaudito. La giovinezza è per me una grande consolazione, mi fa dire che attorno a me c’è anche tanta bellezza.
Le ultime immagini che mi tornano alla mente sono quelle di me e Maria Chiara, di me e Maria. Io e Maria Chiara mentre cerchiamo di azionare la lavatrice attraverso il telefono cellulare, dopo avere scaricato l’apposita app che richiedeva un pagamento in sterline attraverso Paypal, previo codice di autorizzazione inviato per sms. La situazione di per sé già così d’avanguardia, diventava assolutamente paradossale se riferita alla mia nota incompetenza tecnologica. Abbiamo sudato in quella stanzetta, abbiamo riso fino alle lacrime e alla fine ci siamo riuscite. Io e Maria, invece, siamo davanti alla nostra tazza di tisana con i gabbiani che stridono nel cielo finalmente azzurro di Dublino a chiacchierare fino a tarda sera. Abbiamo in quelle sere condiviso molti pensieri, abbiamo espresso idee diverse, abbiamo trovato soluzioni.
Trasferendo sulla carta queste immagini che ho riportato dall’Irlanda mi accorgo che un denominatore comune c’è. Sono le persone.
Da molto tempo sono convinta che la vera ricchezza stia nelle persone che incontri e con le quali fa un pezzo, anche breve, di strada.
Sono gli studenti, sono le loro famiglie, sono i colleghi di lavoro, sono la mia famiglia, sono gli amici vecchi e nuovi, sono gli incontri casuali con una umanità variegata, spesso sorridente e talvolta dolente, della quale mi interesso perché vi appartengo, come diceva il vecchio Cremete nella commedia di Terenzio. Chi manca all’appello di queste presenze, sto pensando ai miei Filippo e Gioele, lascia un vuoto che non si colma col passare del tempo.
L’esperienza del PON di Cittadinanza Europea è stata fin da subito soprattutto questo. Un incontro di persone, un intreccio di storie, una costruzione di relazioni.
In quella che molti credono essere la vitalità dei tempi, rumorosa, aggressiva, rombante, scriveva Calvino nelle Lezioni Americane, la capacità di costruire relazioni significative credo debba restare l’obbiettivo più importante, nella scuola come nella vita.
Lucetta Dodi
Alla scoperta della Guinness
Quindici ragazzi delle classi terze sono arrivati, grazie al progetto PON “Ready.. Steady.. Go Europe”, in Irlanda, dove trascorreranno tre settimane con le loro host families. Durante questo periodo tra le numerose mete che visiteranno, c’è l’inimitabile Guinness StoreHouse ed è proprio di questa visita di cui adesso andremo a parlare.
Arthur Guinness incominciò a produrre birra a Leixlip per poi trasferirsi alla celebre St. James’s Gate Brewery, a Dublino nel 1759. Tale sito era abbandonato e venne affittato a lui per 45 sterline all’anno e secondo un contratto lungo ben 9000 anni. Da allora essa è diventata uno dei simboli dell’Irlanda ed ha accresciuto la sua fama fino a divenire la birra stout più conosciuta al mondo, caratterizzata dal suo colore ambrato e da un sapore amarognolo che la rendono unica nel suo genere.
La visita è cominciata con un’introduzione generale sui principali ingredienti impiegati per produrre la birra, ossia: orzo, lievito, luppolo e infine acqua, ma non una qualunque, in quanto Arthur Guinness si impegnò affinché l’acqua provenisse dalle Wicklow Mountains, situate a Sud di Dublino, e a tale scopo stipulò un contratto d’affitto della durata di 9000 anni con il governo irlandese, inoltre i ragazzi hanno avuto la possibilità di toccare con mano l’orzo e l’acqua, usati nella produzione della birra.
Arrivando al secondo piano si assumono le sembianze degli ingredienti, lasciando per un momento le vesti di esseri umani e si percorrono le varie fasi che milioni di ingredienti locali e genuini condividono ogni giorno.
Il piano seguente è dedicato alle varie strategie di mercato che la Guinness ha impiegato negli anni per promuovere le proprie vendite e accrescere la propria fama: slogan vari e alcune immagini significative quali un tucano, un pesce, un coccodrillo…
Il quarto piano (ahi loro!) è dedicato invece agli assaggi e alla scoperta del prodotto da parte dei turisti visitatori: una sala è appositamente dedicata all’assaggio della suddetta birra irlandese. Solo ai maggiorenni, però!
Infine, in cima all’edificio, si trova una splendida sala panoramica con vista sulla città di Dublino detta “Gravity Bar”, la quale ha ospitato diverse celebrità mondiali tra cui Barack Obama, Tom Cruise e la Regina Elisabetta II.
Al termine della loro giornata, i ragazzi si sono rilassati con un po’ di shopping nello store ufficiale della grande multinazionale irlandese, per poi tornare alle loro abitazioni arricchiti piacevolmente da un’esperienza unica.
Mattia La Rosa, Pier Maria Molinari e Francesco Spotti