La sala si stava già riempiendo di ragazzi quando sono arrivata assieme alla mia classe, sul palco erano già pronte tre sedie attorno a un tavolino.Sapevo che su quelle sedie si sarebbero presto seduti Giorgio Bazzega, Adriana Faranda e Giovanni Ricci.
Non so che immagine mi fossi costruita di loro basandomi sulle informazioni apprese durante la preparazione all’incontro, in ogni caso non devo essere stata troppo attenta perchè fin dal momento in cui sono saliti sul palco ho avuto l’impressione che quell’idea fosse completamente sbagliata.
Quelle che erano appena salite sul palco erano persone che a prima vista avrei defiinito in tre modi. Persone carismatiche: credo che ogni professore possa confermare che tenere l’attenzione di una classe sola nelle ultime ore della mattinata può essere una vera challenge, figuriamoci una sala intera con la capienza di 400 persone! Non si sentiva una mosca volare, letteralmente … eravamo tutti rapiti dalle parole e dallo sguardo di chi le pronunciava mettendoci davvero il cuore.
Persone giovanili: anche se questo aggettivo è passato di moda lo trovo perfetto per esprimere la forte sensazione che ho avuto osservandoli nei primi momenti dell’incontro, la loro età reale solo un dato anagrafico, avevano tutta la freschezza dei giovani e forse questo ha reso così facile capire quello che dicevano… parlavamo la stessa lingua.
Persone sincere: ammiro davvero tanto la sincerità con la quale si sono aperti ad un pubblico vastissimo di completi sconosciuti senza paura del loro giudizio e utilizzando la propria storia come veicolo di messaggi che erano più importanti di tutti gli sbagli che avrebbero potuto commettere.
Queste le persone che mi sono trovata davanti e alle quali mi sono affidata per correggere tutto quello che avevo inteso erroneamente.
Primo errore: dare per scontato il periodo di pace in cui mi trovo.
Cosa rende diversa me dalla diciassettenne Adriana? L’epoca in cui ci siamo trovate a vivere. Nonostante siano passati cinquant’anni, viviamo in un mondo agli antipodi: io vivo nel mondo della sicurezza e della routine, lei viveva in quello dell’imprevisto e della paura dello sconosciuto e dell’incontrollabile.
Immagino che solo quelli che ne fanno esperienza possano capire il disagio della mancanza di libertà di quei tempi: è stato il racconto di Giorgio a farmelo capire; nessuno di noi avrà un’esperienza simile alla sua, eppure anche se così lontana dalla nostra quotidianità ci può insegnare qualcosa di importante e profondamente significativo. E per un’esperienza del genere la giustizia non basta, o almeno la giustizia come la intendiamo noi. Non avevo mai pensato a quanto questo “ripagare” potesse essere inutile per persone come Giovanni e Giorgio: le ferite profonde non si cicatrizzano da sole né possono essere curate autonomamente, c’è bisogno di qualcuno che aiuti a ricucirle, a medicarle con pazienza finchè di esse non rimane solo il segno sbiadito.La cicatrice rimarrà sempre evidente, ma non sarà un taglio aperto sanguinante.
Secondo quanto ho appreso la giustizia riparativa è questo: riconoscere che siamo tutti uomini, che siamo tutti feriti, e che i modo migliore per curarci è accettare l’aiuto di qualcuno che ha il nostro stesso tipo di tagli.
Quando c’è un incidente ci sono due tipi di persone: quelli che scappano senza soccorrere e quelli che si fermano, ammettono il proprio errore e soccorrono. La giustizia riparativa significa fermarsi, scendere dall’auto e decidere di mettersi in gioco, “scegliere un percorso di pace e aiuto reciproco dopo un’esperienza che cambia la vita”. Significa accettare che è impossibile cancellare il passato, ma che il futuro è ancora costruibile insieme.
Cosa sarebbero gli uomini senza ricordi?
I ricordi sono il pozzo al quale attingiamo ogni giorno per fare scelte consapevoli: Giovanni, Giorgio e Adriana sono la prova vivente che cambiare è possibile e necessario, che il passato ci deve insegnare qualcosa, che è possibile sbagliare, cadere e rialzarsi.
Mi hanno insegnato che il mondo di adesso mi porta ad assegnare un etichetta a chiunque, mentre l’unica che dovrebbe importarmi è “uomini”.
Spero che la loro storia possa arrivare a tanti altri ragazzi che come me hanno bisogno di una spinta, di un aiuto per smettere di guardare in un punto fisso ma esplorare i meravigliosi insegnamenti della loro storia a 360 gradi.
Ester Allegri 4D