Ore 14:34 di un giorno non qualsiasi. Sopra di me c’è il gelo di Gennaio, tanta neve che copre ogni cosa e tanta paura che sconvolge ogni cuore: la terra trema ancora, forse ancora più forte di prima, una, due, tre, quattro volte. Non ne posso davvero più, e non solo il solo. Fra poche ore farà buio, siamo senza luce, senza niente. I miei vicini sono anche senza stalle; questa sera farà davvero buio anche per i buoi. Avevamo ricevuto tante promesse, forse anche troppe. Poi, come spesso accade, la realtà travolge tutto e ci coglie sempre più impreparati. Non c’è più corrente elettrica, mi dicono anche che “non si è mai vista una serie di terremoti succedersi con questa modalità”: 4 scosse, solo in data di oggi (18-01-17), tutte con magnitudo superiore a 5. La fonte è l’INGV (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia) o, meglio, quei telefonini che ancora si collegano a Internet.
Dentro di me si acuisce il dolore; mi sembra di esser diventato, mio malgrado, il protagonista di un evento mediatico, capace di far tenere col fiato sospeso l’Italia intera, ma incapace di condividere quel dolore sottile che ci sta sommergendo, proprio come la neve. E’ un tedio che ci intacca per la stanchezza, per l’impossibilità di vedere non tanto la luce elettrica, ma quella luce che dentro di noi ci dice di andare avanti, di non mollare.
Io non volevo tutto questo; dopo i lutti della mia famiglia volevo solo tornare a pensare al futuro, a immaginare una casa, la mia casa. Non ha davvero più senso, per me, misurare le scosse in termini di magnitudo, come fa la televisione. Io le misuro ormai in termini di speranza, che ad ogni scossa diventa sempre più flebile e vaga. So che in paese sono arrivati esercito, forze dell’ordine, vigili del fuoco e protezione civile. In queste situazioni il loro intervento è sicuramente decisivo, come mi dicono sia successo per una mamma e per il suo figlioletto, “estratti vivi” dalle macerie di una abitazione.
Certo, piacerebbe anche a me che i supereroi dei fumetti arrivassero di colpo e che spalassero via tutta la neve che ci sommerge. I superpoteri però non esistono, mentre il tempo scorre senza darci scampo, e la neve scende, insensibile ai lamenti e alle sofferenze che crescono sotto questa imponente coltre bianca. Alcune zone non sono ancora raggiunte; chissà quante altre persone sono isolate e immerse nel gelo del clima. Penso anche alla solidarietà degli italiani, agli sms, ai fiumi di soldi dell’emergenza, alle tante solenni dichiarazioni del governo ma qui, ora, mi avrebbe certo fatto piacere un bel generatore d’emergenza, davvero, solo quello.
Mi immagino i dibattiti televisivi: si parlerà di prevenzione mancata, di costruzioni antisismiche, di reti elettriche fantasma, di scosse e di quant’altro in tema. Ma per chi come me vive questa grande miseria, circondato da un nulla che ha già cancellato tutto, le parole degli “esperti” non hanno alcun senso. Sono come un fastidioso e lontano brusio, magari capace di mettere a posto la coscienza di qualcuno, magari capace di giustificare i ritardi e le lunghe inefficienze. Restano parole vuote, lettere morte; qui la vita scrive invece altre lettere, forse meno esperte, ma certo più veritiere.
Parlano di tristezza, di sofferenza e di disagio, di attese e ancora attese. E di pensieri che continuamente sommergono altri pensieri, come impalpabili fiocchi di neve, silenziosi e infiniti.