Nel mondo odierno siamo bombardati da notizie sensazionali, quelle che il grande pubblico vuole ascoltare, che tendono a concentrarsi sugli scenari di cui tutti vogliono sapere ogni cosa, ma spesso dimentichiamo la realtà tragica che si consuma ogni giorno nelle strade di ogni città, di ogni parte del mondo. La violenza contro le donne, infatti, raramente trova spazio nelle prime pagine, a meno che essa non si trasformi in femminicidio, che fa scalpore solo quando è troppo tardi, suscitando un interesse pubblico che dura solo il tempo di una notizia.
Ma noi ragazze, se subiamo degli abusi, sentiamo commenti come: “se l’è cercata”, “non c’è da stupirsi, guarda com’era vestita”, “se si comportava in quel modo non poteva aspettarsi un trattamento migliore” o ancora “così la prossima volta impara a vestirsi a modo”. Le prime domande che ci vengono fatte sono sempre le stesse: “Com’eri vestita? Eri molto truccata?”, come se fosse questa l’unica cosa che conti davvero. E così si alimenta il chiacchiericcio, diventando argomento di conversazione nelle pause caffè o durante le bevute al bar con gli amici. La cosa peggiore è che viviamo in una società che sembra regredire a un passato preistorico, dove ideologie antiquate continuano a circolare. Ideologie che avanzano il pensiero che se ci vestiamo o ci trucchiamo in un determinato modo, stiamo in qualche modo provocando l’atto dell’abuso. È come se, secondo loro, il nostro aspetto fosse una giustificazione per un comportamento violento nei nostri confronti, come se la colpa ricadesse su di noi invece che su una società malata. È più facile dare la colpa alle vittime piuttosto che affrontare la realtà e smascherare il nostro vaso di Pandora.
A dispetto di quanto alcuni potrebbero pensare, la violenza non si limita solo agli abusi fisici o ai femminicidi, ma si manifesta anche nei cosiddetti piccoli gesti, come l’ossessione verso il partner, il controllo eccessivo sulle sue attività, o il divieto di frequentare determinate persone o di indossare certi abiti. Questi comportamenti possono arrivare fino a vere e proprie forme di manipolazione psicologica, facendoci percepire come legittimi atteggiamenti che, in realtà, sono dannosi. Spesso, a giustificarli, sentiamo la classica frase: “Lo faccio perché ti amo”, come se fosse una scusa valida per una gelosa ossessione.
Oltre al gesto in sé, c’è un altro aspetto che spesso viene dimenticato: cosa proviamo noi, come quell’evento ci cambierà, forse per sempre. La paura che proviamo anche nel fare cose semplici, come uscire con le amiche, il pensiero costante di essere etichettate dalla società come ‘sbagliate’ e la rabbia verso una cultura che, invece di supportarci per quello che ci è stato fatto, ci riversa addosso le colpe: la colpa di essere uscite vestite come ci sentivamo a nostro agio, la colpa di aver voluto mostrare la nostra bellezza, tanto richiesta in questa stessa cultura.
Fortunatamente, grazie al supporto giusto, è possibile uscire da quello che è a tutti gli effetti un circolo vizioso, superando l’erronea convinzione di esserne la causa, riscoprendo così la libertà come diritto fondamentale di ogni individuo, indipendentemente dal sesso.
Giulia Scartazza 2H
murales di Laika a Milano, foto dal sito https://www.pressenza.com/it/2024/11/giulia-e-gisele-il-murale-di-laika/