Disagio giovanile: e le responsabilità degli adulti?

Un venerdì come tanti. Sto arrivando a scuola in bicicletta pensando alle fotocopie che devo fare e alle lezioni della mattinata. Il mio sguardo è attirato da due ragazzi che sembrano spintonarsi a due passi dalle scale della scuola. Il tempo di pensare ingenuamente “Devo andare là a dire che non ci si spintona in quel modo” e mi ritrovo coinvolta in un pestaggio. Con alcune colleghe tentiamo di arginare la violenza e la rabbia e impedire che calci e pugni provochino ferite e danni irreparabili. Realizzo solo nel pomeriggio che sono stata coinvolta nell’ennesimo caso di violenza giovanile. 

Confesserò a questo punto che nel mio ruolo di insegnante ed educatrice sono a disagio da qualche tempo. Per essere precisi dall’epidemia di Covid del 2020. Guardo i miei alunni e sempre più spesso mi chiedo: “Che mondo stiamo preparando per loro? Che esempio stiamo dando come adulti?”

Il disagio nasce dal fatto che queste due domande mi sembrano totalmente assenti in ogni articolo che parla di giovani, di malessere giovanile, disagio giovanile, violenza giovanile. Restano isolate le voci di alcuni psicoterapeuti illuminati che cercano di spostare l’attenzione su questo punto: “cosa stiamo facendo noi adulti?’”

Mi guardo intorno e vedo due guerre in corso che lasciano correre sui nostri devices immagini di città distrutte, bambini, donne e vecchi in fuga mentre la geopolitica internazionale si occupa di come fare arrivare le armi e nessuno ha più il coraggio di nominare la parola “pace”. Vedo rapper quarantenni che fanno i soldi sulle views dei ragazzini con dissing, preparati a tavolino, che sono un susseguirsi di parole irripetibili per la loro volgarità e il sessismo di cui sono intrise.  Vedo l’istituzione scolastica sempre più carica di pesi e some, come un vestito ormai lacero in cui si tenta compulsivamente di rammendare pezze nuove spesso provocando strappi peggiori. Non ricordo esattamente la cronologia -colleghi con più memoria possono correggermi-: alternanza scuola-lavoro, poi diventata PCTO ( 90 ore in tre anni con un tutor), Educazione Civica (30 ore annuali a carico di tutti i docenti), poi l’Orientamento (30 ore annuali a carico di tutti i docenti, ma con un tutor specifico nel triennio della secondaria di secondo grado). Tralascio le riforme e riformine dell’Esame di Stato con le quali si tenta di sistemare una casa partendo dal tetto senza restaurare l’intera struttura. 

Mi piacerebbe che qualcuno dicesse che il problema dei giovani spesso è la società che gli adulti hanno costruito. Mi piacerebbe che qualcuno dicesse che forse la cosa più importante sono le relazioni che riusciamo ad instaurare con questi ragazzi per aiutarli a decodificare se stessi e il mondo intorno a loro. Le relazioni richiedono però docenti credibili, stabili, attenti, sicuramente non oberati di registri e piattaforme da compilare. E richiedono anche molto tempo. Come ci ricordano i classici, il tempo è il bene più prezioso che abbiamo e che nessuno ci può restituire. Erodere il tempo scuola con mille attività senza avere un progetto educativo chiaro può solo peggiorare le cose. 

Mettiamoci come adulti intorno ad un tavolo e chiediamoci “Cosa serve ai nostri ragazzi?”. Da lì partiamo per costruire qualcosa di nuovo. 

prof.ssa Francesca Pelosi

immagine di https://www.repubblica.it/esteri/2022/02/25/foto/kiev_immagini_distruzione-339247171/1/

Può interessarti...