We are the Dead. Short days ago
We lived, felt dawn, saw sunset glow,
Loved and were loved, and now we lie,
In Flanders fields.
(John McCrae)
[Noi siamo i morti. Pochi giorni fa
abbiamo vissuto, sentito l’alba, visto il tramonto splendere,
abbiamo amato e fummo amati ed ora giaciamo
nei campi delle Fiandre.]
La storia potrebbe essere paragonata ad un labirinto infinito, un eterno percorso in cui ogni passo che è stato compiuto ha cambiato le sorti di quello successivo.
Oggi la nostra società è il prodotto di secoli di decisioni, atrocità e invenzioni. Noi siamo prodotto della storia, lei è nostra madre e noi, in quanto figli, abbiamo il compito di conoscerla, conoscerla per comprendere al meglio noi stessi, non solo come società, ma come individui.
Se Stalin non avesse cacciato gli stranieri dalla Russia forse la mia famiglia sarebbe molto diversa, e sicuramente io non esisterei. Se Napoleone avesse vinto a Waterloo, forse oggi parleremmo tutti francese.
Il manuale di storia ci permette di fare proprio questo: conoscere per capire. Ricostruisce la storia dei grandi eventi per farci capire cosa ci ha condotti ad oggi. Ci spiega perché l’Italia è una Repubblica democratica, perché e come le donne sono state in grado di emanciparsi.
Questo è un compito necessario della storia. Tuttavia, sfogliando il mio massiccio libro, non posso fare a meno di notare che lungo il percorso molti pezzi sono stati persi.
Chi sono questi numeri che indicano i morti in trincea? Chi i soldati che hanno sacrificato la propria vita per un futuro migliore? Che aspetto avevano? Come si chiamavano? Avevano una famiglia?
Oggi più che mai mi pongo queste domande davanti ai numeri di morti in Palestina, il numero di feriti, il numero di persone che hanno perso la propria casa. Sono anziani, donne, uomini che con le proprie personalità hanno cambiato nel loro piccolo il mondo, oppure sono bambini ai quali la morte ha negato una vita di avventure e sorprese.
Per me studiare la storia significa anche e soprattutto ricordare queste persone che hanno perso, (e perdono ancora,) la propria identità tra le pagine di un libro (o di un giornale), quelle persone che mi vengono presentate come un numero. Non erano un numero: erano individui nei cui occhi brillava la fiamma della vita, che con un soffio si è spenta.
Dimenticare queste vite innumerevoli significherebbe disonorarle; tralasciarle nei meandri della storia sarebbe l’equivalente di reputarle inutili, non degne di ricordo. E il ricordo è l’atto più gentile che possiamo compiere nei loro confronti, perché significa che li richiamiamo al cuore. Non alla mente soltanto, ma al cuore. Ricordiamo la loro identità che è andata persa, e gliela restituiamo, in qualche modo eternandola in noi.
La storia non è soltanto fatta di invenzioni di menti brillanti o decisioni, razionali o irrazionali che fossero, che hanno cambiato il corso degli eventi. Non è soltanto Giulio Cesare, Winston Churchill o Napoleone. La storia è anche la donna che ha perso la vita durante un bombardamento, o che ha scritto lettere ad un marito che non è mai tornato. Il soldato che al mattino ha visto il sole sorgere, ma che non è mai stato in grado veder sorgere la luna, quello che giace nei campi delle Fiandre.
Sempre riprendendo la poesia citata inizialmente:
In Flanders fields the poppies blow
Between the crosses, row on row,
That mark our place; and in the sky
The larks, still bravely singing, fly
Scarce heard amid the guns below.
[Nei campi delle Fiandre i papaveri crescono
fra le croci, allineate, che segnano il nostro posto
e nel cielo le allodole, ancora coraggiosamente cantando,
volano, scarsamente sentite, in mezzo ai cannoni sotto.]
Il papavero è il fiore del ricordo. Durante la Prima Guerra Mondiale il suo rosso vivace era il solo tocco di colore nei campi di battaglia più grigi.
Il colore di questo fiore rappresenta la forza che l’atto di ricordare possiede, i suoi petali fragili mostrano al contempo la sua fragilità. Il ricordo va coltivato e mantenuto vivo, altrimenti andrà perso, e con esso anche tutte le vite che racchiudeva.
Forse, se queste vite potessero sapere che ci impegniamo a richiamarle al cuore, non vedrebbero la propria morte come uno sprofondare in una voragine buia che oblia la loro esistenza e importanza. La vedrebbero forse come un lungo sonno tranquillo tra i papaveri rossi nei campi delle Fiandre.
Amanda Forster
Fonte immagine: Royal British Legion