Omofonia (storie del prof Lanzi-V)

Dopo il matrimonio di mio fratello nel gennaio 1993, anch’o mi sposai nel settembre di
quello stesso anno. Da allora abitiamo a trenta km uno dall’altro con le nostre famiglie, ma
negli anni Ottanta, da gionuot (quando eravamo giovinotti), accadeva quasi ogni giorno
di sentire al telefono di casa (all’epoca il 99% delle famiglie italiane aveva, se l’aveva, il solo
telefono fisso) i nostri rispettivi amici. A loro appariva sempre sorprendente constatare che le
nostre voci erano identiche: stesso tono, stesso timbro. Mi sarà capitato centinaia di volte (e
altrettante a mio fratello, a parti invertite) un dialogo telefonico che iniziava così: – Pronto,
sono X, c’é Riki? No – rispondo io – sono Luigi, mio fratello Riki non è in casa. E dall’altro
capo del telefono: – Dai Riki, non fare il pirla… (breve pausa, poi) … ci vediamo al bar
questa sera?-

Al che, a fronte della sconcertante omofonia, cercavo di convincere X della mia
identità attraverso disquisizioni filosofiche in modo da lasciare intendere che al telefono, in
quel momento, ero proprio io e non mio fratello a cui – era noto – interessava più il giuoco
delle carte invece dell’heideggeriana ontologia dell’Esserci. A quel punto, di solito, X
riattaccava; altre volte, se l’amico Y era particolarmente ‘incazzoso’, in men che non si dica
mi mandava a cagare, in spregio alla mia scepsi metodologica.

Foto di Vitiello Valentina Anna (2^E)

Può interessarti...