Dovessi fare una lista dei momenti memorabili della letteratura italiana del Novecento,
metterei senz’altro la sigla “U.S.” (Ultima Sigaretta) che Zeno Cosini (nel celebre romanzo
La coscienza di Zeno di Italo Svevo) scriveva di continuo su quaderni, libri, pareti per tentare
di convincersi (pia illusione) che quella, proprio quella della sigla U.S., sarebbe stata l’ultima
sigaretta fumata. Ebbene, allo stesso modo di Zeno, da vari decenni, scelgo sulla mia agenda
il giorno ideale (il primo giorno del mese, gli equinozi o i solstizi, il Mercoledì delle Ceneri e
ogni altra data di particolare significato storico o religioso, purché non cada di martedì o
venerdì dato che la nonna m’insegnò il proverbio Né di Venere né di Marte, non si sposa
non si parte, né si dà principio all’arte) per siglare, oserei dire istoriare, la sigla geroglifica
“I.D.” (Inizio Dieta). Il risultato, manco a dirlo, è sempre infruttuoso. Evidentemente non per
colpa della sigla che pertanto mi ostino ad apporre a fianco di certe date. Eppure, in almeno
due occasioni avrei potuto convincermi che la pinguedine mi è connaturale come un
insuperabile destino.
1) A seguito di un breve saggio dedicato alla tradizione popolare del Cantamaggio in
Lunigiana, mi giunse l’invito per tenere una conferenza sul tema nell’ambito di un convegno
organizzato in una certa città “X”; (il lettore comprenderà ben presto la scelta della all’ingresso del salone campeggiano due enormi manifesti in cui il mio nome –Luigi Lanzi –
è inopinatamente storpiato in Luigi Panza. Davvero ingiustificabile – penso – se non fosse
per la mia ben nota, pingue sfericità. Fatto non trascurabile, mia moglie ride fino alle
lacrime. Solo lei, però.
2) Al solstizio estivo di un caldissimo mese di giugno, prendo la solenne decisione di iniziare
una dieta (previa registrazione rituale (e un tantino ossessiva: coazione a ripetere?) dell’l.D.
sulla mia inseparabile agendina del Touring Club), sostituendo l’abituale caffè mattutino con
un abbondante pasto proteico. Dopo la speciale colazione, assieme a mia moglie, raggiungo
il convento francescano di Fiorenzuola per intervistare un certo frate Barnaba. Forse per la
mancata digestione, forse per l’afa padana o per entrambe le cause, grondo di sudore.
All’ingresso del convento la portinaia mi scruta da capo a piedi, poi mi chiede con tono
brusco: – Mo lù chi serchél? (Ma lei chi cerca?). Rispondo che devo incontrare frate
Barnaba. Al che, con un sorriso un po’ sguaiato, mi domanda: – El un parent dal frè, lù? (Lei
è parente del frate?). No – ribatto seccato – perché me lo chiede? E lei, ridendo di gusto: – A
vèdd’lé propria bél ciciott c’é ’l frè! (Vedo che è proprio ciccione come il frate!). Mia
moglie, ricordando l’episodio a distanza di trent’anni, ride ancora fino alle lacrime. Io no.
Foto di Biancolatte