Alla ricerca delle nostre radici: la paleogenomica e le domande esistenziali dell’umanità

Tutti nella vita ci siamo interrogati su domande del tipo Chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo… Magari ad alcune siamo anche riusciti a dare una risposta, ma se vi chiedessimo Quando siamo?

La Dott.ssa Giamborino, sabato 29 Aprile 2023 ci ha posto questo quesito dando il via al nostro progetto di paleogenomica organizzato dalla prof.ssa Tosetti. Per rispondere alla domanda dobbiamo innanzitutto indagare sul “quando”, e dunque presupporre un tempo in cui siamo stati, siamo e saremo; il tempo inteso dall’uomo però spesso viene scandito da calendari e orologi, che inevitabilmente lo limitano alla sfera umana. 

Tuttavia l’umanità occupa solo una piccola frazione del tempo trascorso dalla  formazione della Terra (circa 4,6 miliardi di anni fa) e nessun calendario può coprire questi archi cronologici. In questo contesto, gli unici strumenti di cui disponiamo sono le rocce.

La loro capacità di conservare gli avvenimenti geologici terrestri è stata sfruttata per creare una carta cronostratigrafica che racchiude tutte le epoche a partire dall’Adeano fino all’Olocene e di cui l’uomo occupa soltanto lo 0,04% del tempo! Ognuna è definita da una sfumatura diversa di colore, valida internazionalmente, e definita principalmente dalla comparsa e scomparsa di importanti e diffuse forme di vita. Alcuni di questi limiti coincidono infatti con le famose BIG FIVE. Esse  rappresentano i cinque eventi catastrofici del nostro pianeta caratterizzati dalla perdita significativa di biodiversità su scala globale. Tra questi il più celebre è quello avvenuto tra il periodo Cretacico e il Paleogene (estinzione K/Pg), noto per l’estinzione dei dinosauri e di numerose specie marine.

Spesso il Tempo Geologico viene raffigurato con una grande spirale, all’interno della quale vengono generalmente rappresentati i principali avvenimenti della Storia della Terra. Questo tipo di rappresentazione è molto utile per raccontare quali sono i principali eventi e la successione che vi è tra essi. Piuttosto che pensarla come una linea retta, la visualizzazione a spirale ci aiuta a comprendere come gli eventi geologici si siano succeduti nel corso del tempo, a volte ripetendosi anche in maniera ciclica (come ad esempio le fasi di gelo e disgelo dei poli) ma generando conseguenze e interazioni sempre diverse.

Ma quando ha avuto inizio la vita sulla Terra? Ci sono diverse teorie che provano a spiegare questo evento, ma le due più note sono la teoria dell’abiogenesi e quella della panspermia. La prima afferma che le molecole organiche si siano formate da composti chimici non viventi e abbiano portato alla comparsa di sistemi chimici sempre più complessi, culminando nella nascita delle prime cellule viventi. La seconda ipotizza che la vita sulla Terra sia stata “seminata” da microorganismi o materiali biologici di natura extraterrestre che, una volta giunti sulla Terra, hanno trovato le condizioni ottimali per proliferare, dando inizio alla Vita.

Indipendentemente dalle due teorie, il nostro pianeta  ha subito molteplici trasformazioni nel corso delle Ere Geologiche che trovano spiegazione nella teoria dei continenti e prove tangibili all’interno delle rocce. Originariamente, vi era un unico supercontinente denominato Vaalbara, le cui parti si sono successivamente separate muovendosi lentamente. Questo fenomeno trova spiegazione nel modello della  tettonica a placche che afferma come la litosfera sia suddivisa in placche rigide in movimento reciproco sulla superficie del mantello. La teoria della deriva dei continenti proposta da Alfred Wegener ha fornito una spiegazione alla complementarietà tra i margini dei continenti, supportata anche dalla presenza di fossili simili su terre separate da masse oceaniche (esempio il Sud America e l’Africa Occidentale).

 

Le rocce sono soprattutto utili perché conservano i resti organici delle specie che si sono susseguite durante la Vita della Terra. Il processo di fossilizzazione è un evento molto raro e avviene in condizioni e circostanze particolari. E’ fondamentale infatti che, dopo la morte, l’organismo venga subito ricoperto (da fango o sabbia) e che rimanga pressoché indisturbato per moltissimo tempo. Spesso, i contesti che più di tutti contribuiscono alla preservazione degli organismi sono quelli che prevedono la presenza di fango e acqua. Nel caso di un animale vertebrato, la carcassa ripulita dall’acqua viene coperta da uno strato fangoso e può rimanere indisturbata anche per milioni di anni. In questo caso, la componente organica dell’organismo viene sostituita da quella mineralogica del sedimento sottoposto a centinaia di decenni di trasformazioni.
Con il passare del tempo, oltre allo stato del reperto, cambierà anche l’ambiente in cui è avvenuta la fossilizzazione. Ad esempio, da un ambiente marino o lacustre si potrebbe passare ad un ambiente di montagna o desertico e , in questo caso, gli agenti atmosferici potrebbero far riemergere in superficie i resti dell’animale deceduto milioni di anni prima.

Abbiamo potuto osservare alcuni importanti fossili presso il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Parma sotto la guida della responsabile, la  Prof.ssa Monegatti. Qui sono raccolti reperti fossili risalenti al 1768, alla dominazione francese e le donazioni della Duchessa di Parma, come  la collezione di pesci fossili dell’Eocene di Bolca. Sono inoltre presenti numerosi reperti risalenti al Neogene (20 milioni di anni fa) rinvenuti nella regione dell’Emilia Occidentale, che rappresenta un’area chiave per lo studio dell’evoluzione paleobiologica e paleoclimatica di tutto il bacino del Mediterraneo.

La paleogenomica ci offre una finestra unica sul nostro passato, svelando i segreti di coloro che ci hanno preceduto e aiutandoci a comprendere meglio noi stessi.

 

di Francesca Bortini, Letizia Gostinicchi, Sofia Lorenzano, Matteo Rovelli e Lorenzo Tagliapietra V B

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