Mara Maionchi è un personaggio conosciuto per aver cresciuto fino al successo molti artisti e per aver lavorato con alcuni dei più importanti autori della musica italiana.
Durante l’assemblea d’istituto del 17 aprile, abbiamo avuto l’onore di intervistarla per conoscere più nel dettaglio un mondo che la nostra generazione conosce poco, ovvero la discografia.
Come è iniziata la tua carriera discografica? Quando è avvenuta una svolta lavorativa per te?
Essere venuta a Milano è stato fondamentale perché mi ha dato più occasioni e un contatto col mondo della musica. Prima ho lavorato in un’azienda di prodotti architetto-grafici, poi con un entomologo per delle ricerche sugli animali; solo dopo sono arrivata alla discografia.
Sul Corriere della Sera trovai si cercava una segretaria per l’ufficio stampa della casa discografica dell’Ariston e lì è cominciata la mia storia nella musica. Dopo l’Ariston si formò la famosa Numero uno, la casa discografica in collaborazione con Battisti e Mogol: lavorare con questi personaggi mi ha aiutato molto. A chi mi chiede se ci siano differenze tra loro e quelli con cui ho lavorato prima, rispondo che Battisti era una novità perché non faceva televisione, mentre da Mogol ho imparato tanto. Quanto alle altre personalità che ho conosciuto ricordo la Vanoni, agli inizi della sua carriera.
Fra le varie celebrità che ha potuto frequentare nella sua carriera, quali sono quelle che l’hanno sorpresa negativamente o positivamente?
Ho sicuramente conosciuto molti artisti che adesso sono acclamati dalla critica, tra cui Lucio Dalla, una persona molto particolare. Era poco propenso alla promozione della propria immagine e si concentrava su quella delle sue canzoni: era più un artista che un personaggio. I grandi artisti degli anni ’70 infatti non popolavano i mezzi di comunicazione quanto ora e le loro canzoni prendevano il volo in base alla capacità lavorativa. Trovo che oggi l’esposizione personale sia molto più forte della produzione discografica. Non so dirvi se l’esposizione mediatica sia positiva o negativa: da una parte ci si fa conoscere più rapidamente, ma dall’altra assistiamo un consumo immediato del personaggio.
Molte persone mi hanno sorpreso in positivo, come Gianna Nannini. Quando venne da me, era una ragazza che scriveva delle canzoni “terrificanti”, però poi si è messa a lavorare duramente. Nonostante i primi due “brutti” dischi, quando si liberò di alcune delle sue sofferenze arrivò “America”.
Secondo lei programmi come i talent show, possono avere un’impatto positivo sugli artisti?
Sicuramente dipende dalle qualità dell’artista. I Måneskin, per esempio, sono usciti da X Factor già pronti. Se arrivi preparato la televisione ti può dare un aiuto, ma può essere una perdita di tempo se ancora non si hanno a fuoco le proprie capacità. L’impegno dell’artista è fondamentale: anche se capita di produrre una buona canzone, si deve lavorare ed essere disposti all’ascolto. Il lavoro di cantante è un lavoro come un altro con delle regole precise. La serietà nel lavoro aiuta molto e certamente gli artisti che pensano di essere già arrivati al culmine con il primo disco rischiano di sparire.
La sua fama ha cambiato la sua visione delle cose? Ascoltando la musica di un’artista emergente, riconosce immediatamente il suo potenziale?
Non è possibile prevedere se diventerà famoso, perché ci sono tante variabili, ma cerco sempre di capire se ha qualcosa da dire. Bisogna avere una particolarità sulla quale lavorare e presentarsi onestamente, perché se si finge la fama non può durare. Un album piacevole si basa sulla credibilità di quello che uno racconta e come lo racconta.
Al discografico resta il compito di essere attento ai tempi, ascoltare con attenzione il brano, sia in diretta che in registrazione, cercare di capire se questo artista può avere un miglioramento e, soprattutto, non avere pregiudizi.
Visto che non ti sei limitata solo alla discografia, spaziare nella carriera può essere vantaggioso?
Ad un certo punto, si arriva ad una maturità tale da poter fare tanti lavori insieme, bisogna solo stare attenti a non intraprendere strade che si allontanino da quello che si vuole comunicare.
De Gregori ha fatto solo un lavoro soprattutto perché, per pensare, realizzare e produrre un disco ci vuole tanto tempo. L’importante è seguire il proprio istinto.
Sei ancora aggiornata sui nuovi artisti? Quali sono i tuoi generi musicali preferiti?
Blanco è interessante, al di là di quello che è successo a Sanremo, che poteva essere evitato; anche Lazza, ad esempio, ha scritto cose carine.
Generalmente ho sempre seguito il rock, per cui in questo periodo sto ascoltando i Måneskin, gruppo molto forte, ma non ho mai smesso di ascoltare i Beatles, i Rolling stones e Bob Dylan, che raccontava il suo periodo storico. Oggi c’è un altro mondo, più complesso da raccontare; trovare qualcosa di completamente nuovo musicalmente è molto più complicato. Adesso mi sembra che ci sia una grande denuncia della propria esistenza, senza una soluzione che segua la denuncia. Se si scrive del proprio disagio è perché evidentemente è il disagio di molti, come nel caso di tutti i cantautori degli anni 70’. In particolare, il rock è simile alla protesta della trap, per cui, è giusto che ci sia.
Guardandoti indietro avresti fatto cose diverse nella tua carriera?
Ho fatto quello che mi è capitato, cercando di farlo bene. La mia carriera televisiva è nata per caso: quando Gori cercava dei giudici per X Factor, ho fatto il provino e mi hanno scelto come discografica.
Ai ragazzi che vorrebbero intraprendere una carriera musicale, consiglio di avere passione, ma non di fare successo, di scrivere qualcosa che rimanga e che piaccia a se stessi e agli altri, perché la musica cambia di continuo.
Quando c’ero io, i concorrenti si presentavano, facevano il provino e noi decidevamo chi passava e chi no. Mengoni, ad esempio, è nato da X Factor ed è un cantante bravo. Certo, può piacere o non piacere il genere che fa, però, non c’è dubbio che lui sappia cantare.
Posso garantirti che, quando c’ero io, il talent non era pilotato. Non so dirti se, prima del nostro giudizio, ci fosse un’altra selezione, ma non credo proprio, almeno, spero di no.
Essere giudice non è poi così divertente dato che io mi sento sempre molto responsabile di non capire o fraintendere; lo trovo un compito impegnativo.
“Io non ho scoperto nessuno, ho solo incontrato dei talenti.”
Chiara Toscano 2S e Chiara Bazzini 2G
Foto dal sito di Repubblica