Calma. Placida inerme vuota passante, scruto senza angoscia i verdi campi emiliani. Flora. mi circonda tanto grano da dedicarne una spiga a ogni morto, una a ogni vivo in lutto, una a ogni nuovo nascituro.
Il treno stride sui binari. Colgo note di lamenti, soffocate dall’abitudine e dall’indifferenza; è la terra che grida e ritira dolore, in questo perpetuo cesareo. Siamo carne, noi passanti, muscoli palmari; ci flettiamo nella mano di un chirurgo che apre il ventre a una madre dolente, che mai ha conosciuto epidurale né totale anestesia. Le rotaie fendono il terreno, bisturi tagliente, e dall’orlo della grande ferita si vedono i campi.
Per mano nostra duole Terra, nostra prima genitrice. E godiamo, uccidendola, dei suoi tanti figli rigogliosi. Finché sanguinerà, finché avrà viscere di cui farci cibare e figli affamati da partorire, continuerà a donarci perdono. Ma sarà presto vuota, sfinita, bestia impagliata, sfruttata e privata di ogni bene. E quando non ci sarà sangue, non ci sarà più nutrimento, più non ci saranno fiori, né alberi in frutto, più nulla da dedicare a nati, morti e morenti, nemmeno una spiga di grano.
Testo e foto di Martina Alberici 5E // scirxppo