Vita di un universitario

Certi amori non finiscono, fanno giri immensi e poi ritornano…
Più o meno come la mia interessantissima e soprattutto richiestissima rubrica sulle prime esperienze da universitario. Scherzi a parte, spero vivamente che per qualcuno sia utile sapere come se la passa un ragazzo del primo anno di ingegneria e di riuscire a raccontare ciò che, nel bene e nel male, l’università può portare nella vita di un ragazzo; per cui mettetevi comodi, allacciate le cinture e preparatevi ad osservare un sacco di belle emozioni, di nuove esperienze… e di stress.

La gestione dello stress è un’arte che non tutti padroneggiano; anzi, in realtà sono davvero in pochi a capire davvero in cosa consista. È un misto di buona volontà, autocontrollo, dedizione al dovere e perché no, anche un po’ di follia. Se qualcuno dei lettori ha appreso questa importantissima abilità, dovrebbe insegnarla a quante più persone possibile… anche a me, in caso gli avanzasse un po’ di tempo.

In quanto a controllo delle emozioni, posso affermare che per vivere al meglio l’esperienza universitaria questo sia di importanza vitale: ahimè, lo sto imparando nella peggior maniera possibile.
Ultimamente, come presumibilmente molti altri principianti, sto sperimentando ogni singola emozione come se fossi in una di quelle infinite telenovele spagnoleggianti: si passa dalla felicità più totale allo sconforto più drammatico, da pensare di star benissimo nel nuovo habitat alla nostalgia per il caro vecchio liceo. Insomma, se mantieni questi pensieri nella testa e aggiungi quello degli esami imminenti o remoti, potresti prendere il posto di En e finire a passare le tue giornate insieme a Xanax; altrimenti puoi provare a giocare d’anticipo, vivendo tutte le novità in maniera cauta e propositiva senza lasciarti trascinare dai piccoli drammi di ogni giorno. Ascoltare “Happy” di Pharrel Williams senza scoppiare a piangere di riflesso è già un passo importante.

Al disastro emotivo sopracitato hanno collaborato anche le mie prime esperienze lavorative: nel giro di qualche mese sono stato assunto diverse volte e licenziato almeno tre, ho avuto a che fare con la gente più varia e conosciuto un sacco di realtà quotidiane che mi sembravano molto lontane, ho passato giornate a vagare per la città, ho gioito per aver svolto bene il mio lavoro e sono stato moderatamente deluso quando questo non è bastato. Sono partito con la voglia di essere più indipendente e sentirmi più adulto, e sono finito a scoprire un sacco di cose nuove e a sottopormi a un sacco di stress. Non era il risultato sperato, ma mi accontenterò.

Cambiamo argomento, addentriamoci nell’automatismo inconscio della nostra mente che ci prepara al pericolo: la paura.
Tutti gli spettri di una vita fallimentare, di un’esistenza da adulto pronta a privarci di tutto ciò che di bello hanno le nostre vite, di un senso di inferiorità che paradossalmente accomuna tutti quanti, ci si parano davanti un paio di volte l’anno. Se avete capito ciò di cui sto parlando è perché ci siete dentro fino alla punta dell’ultimo capello, o ci siete già stati: durante la sessione si riconosce chi è degno del mondo e chi, invece, merita l’oblio.

Parliamoci chiaro, l’ultima frase era volutamente ironica. Giudicare ed essere giudicati in base a i risultati ottenuti in condizioni completamente randomiche è, o almeno dovrebbe essere, un lontano ricordo del passato; roba da vecchi, per intenderci.
La prima sessione d’esami è sicuramente accompagnata da giganteschi pacchetti di paura, ansia e anche dallo stress di cui parlavo prima: con il tempo e con le nuove sessioni, però, bisogna metabolizzare il fatto che nessuno dovrebbe correrci dietro, tantomeno noi stessi. Se durante la prima sessione non darete nemmeno un esame non preoccupatevi, è una cosa talmente comune che potreste anche arrivare a riderci sopra.

Una cosa che trovo veramente giusta quando si parla di università è la possibilità di lasciare indietro degli esami, in modo da non perdere tutto il duro lavoro fatto per superarne altri; rispetto alle scuole dell’obbligo, questo è un gigantesco passo avanti. Dato che abbiamo bramato tutti almeno una volta di poter assaporare questa libertà, perché dovremmo precludercela o farcela precludere da altri?
<span;>Questo tipo di limitazioni è addirittura riuscito a spezzare la vita di tanti giovani come me, giovani che in un futuro sarebbero potuti sicuramente diventare i vostri medici o i vostri avvocati, ma anche dei cassieri, degli addetti alle pulizie. Se vogliamo dirla tutta, addirittura dei genitori.

Per quanto riguarda la mia esperienza, la prima sessione è stata una passeggiata al lago in una giornata di Maggio: essendo riuscito a dare due dei tre esami che ho passato tramite prove parziali durante il periodo delle lezioni, in sessione me ne spettava solo uno. Quell’unico esame è stato un gran problema però: si trattava della celeberrima Analisi 1.
Siamo sinceri: quest’esame si è creato una brutta nomea per colpa di discorsi di corridoio. Addirittura mi sono sentito dire che un ragazzo ci ha messo 17 appelli per passarlo, una cifra che spiattellata davanti in questo modo fa accapponare la pelle a chi deve affrontarlo nel giro di pochi giorni.
Da questo esame ho ricevuto la mia prima bocciatura, che senza un’adeguata preparazione mentale somiglia molto a un pugno in faccia: a pensare ora a quella sensazione mi viene un po’ da ridere, e spero che anche il ragazzo dei 17 appelli si sia fatto qualche risata nel mentre.

Per stavolta ho finito le cose di cui parlarvi, ma non temete: ritornerò. O forse no, dipende da quel che succederà nel mentre, o se a voi interesserà sentirmi di nuovo. A salutarvi così mi sento un po’ come Melo Cotogno nell’ultima puntata della Melevisione, però con molto meno sex appeal.

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