La popolazione africana dei Dogon, circa 240.000 individui, vive nella regione della falesia di Bandigara, nel Mali, vicino al delta del fiume Niger, mentre alcuni gruppi sono stanziati nei territori attigui al Burkina Faso. Nei miti dei Dogon il simbolo dell’acqua celeste fecondante ha una rilevanza fondamentale. Il saggio Ogotemmeli, rivelando la cosmogonia dei Dogon all’etnologo francese Marcel Griaule (1898–1956), narrava che l’acqua, seme divino, penetrò nel grembo della sposa, la Terra, suscitando un ciclo regolare di generazioni gemellari. Cominciarono a formarsi due esseri: «Dio li ha creati dall’acqua. Erano di colore verde, nelle sembianze di persona e di serpente. Dalla testa alle reni erano umani: la parte inferiore era serpente». Come scriveva Griaule (Dieu d’eau del 1948, traduzione di Giorgio Agamben, Dio d’acqua: incontri con Ogotemmeli, Bompiani, Milano,1968; a cura di Barbara Fiore, Bollati Boringhieri, Torino, 2002) “La coppia possedeva l’essenza di Dio perché era fatta del suo seme che è, a un tempo, il sostegno, la forma e la materia della forza vitale del mondo, sorgente di movimento e di perseveranza nell’essere. E questa forza è l’acqua. La coppia è presente in ogni specie di acqua: è l’acqua dei mari, dei confini, dei torrenti, dei temporali, del sorso che si beve dal mestolo». La forza vitale della terra è l’acqua. Dio ha impastato la terra con l’acqua. Nello stesso modo egli ha fatto il sangue con l’acqua”. Sulla scorta di Ogotemmeli sarei tentato di modificare la celebre espressione di Octavio Paz, “siamo sangue e tempo”, in “siamo acqua, sangue e tempo”.
Prof. Luigi Lanzi