
Nella mitologia indiana vi sono diversi miti delle acque primordiali. In quello più noto si narra che su di esse galleggiasse in beata spensieratezza Nàràyana. Quelle acque simboleggiavano lo stato di quiete e di indifferenziazione, la notte cosmica. Dall’ombelico di Nàràyana, che dormiva, cioè dal suo centro, sorse la prima vita. La divinità di Nārāyaṇa è origine di tutte le cose. Nei testi sacri dell’induismo leggiamo dell’origine del suo nome (Manusmṛti, I,10: “Le acque sono chiamate nārā perché furono la prima dimora, ayana; così egli è conosciuto come Nārāyaṇa”); il Mahābhārata lo indica come “meta di tutti gli esseri”; la Mahānārāyaṇa Upaniṣad lo considera “divinità suprema”; il Kathāsaritsāgara lo identifica con Viṣṇu. Quando, alla fine delle ere, Śiva distruggerà con il fuoco ogni cosa, riportando l’intero cosmo nello stato di latenza, in cui Nārāyaṇa-Viṣṇu mantiene l’Universo e presiede la notte cosmica. Egli conserva nella mente gli esseri del passato e quelli che nasceranno nel futuro, coricato sull’Oceano del diluvio subentrato alla distruzione di Śiva.
Il suo giaciglio è rappresentato dal serpente Śeṣa (letteralmente il “resto”, ovvero ciò che resta della distruzione, e quindi garanzia di un prossimo rinnovamento). In questa raffigurazione Nārāyaṇa è presentato al momento di una nuova era: dall’ombelico sorge un loto (che simboleggia l’avvio dell’emanazione) su cui è assiso Brahmā, il dio della emanazione, qui presentato con la barba, come grande padre degli de. Brahmā ha quattro volti, uno per ogni Veda da lui recitato: Est il Ṛgveda, Ovest il Sāmaveda, Nord l’Atharvaveda, Sud lo Yajurveda. Dopo ‘’emersione di Brahmā si desta la paredra di Nārāyaṇa, la dea Lakṣmi che gli massaggia i piedi. Come scriveva lo storico dell’arte Ananda Coomaraswamy (1877-1947) “questa cosmogonia acquatica diventò un motivo ricorrente nell’iconografia e nell’arte decorativa”.
Prof. Luigi Lanzi






