Qualche settimana fa, la nostra insegnante di italiano ci ha assegnato un tema la cui traccia può riassumersi nella seguente domanda : in una società votata al successo, si è davvero perdenti se si viene sconfitti?
“L’importante non è vincere ma partecipare”. Quante volte abbiamo sentito ripetere questa frase quando abbiamo dovuto ingioiare il boccone amaro della sconfitta? Quasi fosse uno sciroppo zuccherino che addolcisce la delusione ma che, invece, altro non è che un palliativo. Sì, perché la difficoltà di imparare dalla sconfitta, di percepirne gli insegnamenti ed il valore è uno step che possiamo fare solo a mente fredda, sforzandoci di capire quali siano stati i nostri errori ed imparare da essi per ripartire.
Certo, capita spesso che ci poniamo degli obiettivi, magari difficili ma raggiungibili, giochiamo una scommessa per vincere la sfida prima con noi stessi e poi con gli eventuali avversari. Può succedere che il percorso per arrivare a questi obiettivi non sia così fluido ma che gli ostacoli saltino fuori come in Fortnite, all’improvviso, e ci colgano impreparati facendoci vivere la disfatta come un dramma, come un fallimento. Invece dovremmo cogliere l’occasione di riflettere, fare il punto della situazione, valutare cosa ci ha indotto in errore e se la nostra predisposizione emotiva possa in qualche modo aver influenzato, se non addirittura inficiato, il risultato, capire se proprio quegli errori possano rivelarsi utili perché ci motivano al miglioramento delle nostre prestazioni o ad una rivalutazione delle nostre potenzialità.
Dalla sconfitta dobbiamo imparare ad essere resilienti, a non lasciarci sottomettere da quelle frasi scoraggianti tipo “ non ci riuscirò mai”, “ tanto perderò” ma reagire, adattarci al cambiamento, non perderci d’animo, non lasciarci abbattere da delusioni e fallimenti che potrebbero demoralizzarci spingendoci all’immobilità, essere volitivi fronteggiando le avversità con più voglia di riscattarci, a far meglio, a perfezionare quello che in noi può sembrarci carente e, soprattutto ad ammettere di aver commesso uno sbaglio, di aver preteso troppo da noi stessi, di aver sottovalutato o sopravvalutato qualche aspetto.
La sconfitta ci coglie di sorpresa come un violento pugno in faccia, può umiliarci come un insulto, specialmente quando arriva inaspettata ed imprevedibile, è destabilizzante, disturbante, inquietante. Ci lascia tramortiti a terra, attoniti, annichiliti nell’incapacità di comprendere e ribellarci. Cosa può esserci di positivo per noi ogni volta che perdiamo? Cosa possiamo imparare dalla sconfitta quindi?
È evidente che la vittoria ci assale con tutte emozioni positive, adrenalina, felicità, senso di onnipotenza, come se fossimo baciati dal sacro fuoco del talento, pertanto non verrà spontaneo ragionare e prendere coscienza delle motivazioni che ci hanno condotto sul podio né sulla eventualità di replicare l’impresa. Quando invece siamo colti dall’insuccesso, vediamo solo il bicchiere mezzo vuoto, il lato negativo dell’esperienza vissuta, e quindi risulta piuttosto difficile convincersi che da una sconfitta possa nascere qualcosa di buono, di positivo. Eppure, per quanto possa apparire bizzarro, la parola “perdere” va sempre associata al suo opposto, cioè “vincere”. Ogni volta che perdiamo, guadagniamo qualcosa. Perdere implica sempre un cambiamento, una trasformazione degli eventi ed una metamorfosi di noi stessi. Ed ecco che la sconfitta diventa vittoria, perché ricaviamo la lezione più importante della vita: l’esperienza. Impariamo ad affrontare in modo differente, con atteggiamenti, comportamenti ed emozioni diverse situazioni simili a quella che ci ha visti perdenti in quanto siamo in grado di aprire la nostra mente, di arricchire il nostro punto di vista e sperimentare nuove strategie che ci avvicinano sempre più all’obiettivo che vogliamo raggiungere. Non si tratta di negare l’evidenza, di scegliere la strada più comoda degli alibi, ovvero di attribuire la responsabilità a tutti fuorché a noi come forma di autodifesa, di salvaguardia e riparo dalla possibilità di metterci in discussione, accusare il destino, gli altri della nostra sconfitta ma di concentrarci su quello che abbiamo imparato da questa esperienza. E questo vale molto di più del risultato ottenuto. La sconfitta ci costringe a rivedere tutto il nostro operato e può fornirci lenti nuove con le quali leggerla perché ci obbliga a tornare sul dove e come abbiamo fallito e lavorare stimolati al miglioramento come segno di riscatto, piuttosto la vera sconfitta è quella che accettiamo supinamente senza porci domande ma è una rinuncia a sfruttare le risorse che la sconfitta offre.
La miglior lezione sulla ricchezza della sconfitta ce la offrono gli atleti paraolimpici che non si sono lasciati sopraffare, demolire dalle malattie che li hanno invalidati, ma che hanno superato la loro disabilità abbattendo continuamente le barriere dei loro deficit e spingendo al massimo quello che resta di buono nella loro vita: la volontà ed il coraggio di reagire.
Simone Euripide 1T