A’ zantraglia

Con l’Angelica simile alla rosa dell’Orlando Furioso vi avevo salutato l’ultima volta insinuando nelle vostre menti la curiosità per un nuovo termine del vocaboletano: “ zantraglia”. Dovete sapere che nel dialetto napoletano convergono numerose influenze francesi e spagnole dovute, naturalmente, alle dominazioni subite nel corso della sua lunga storia.
Nel 1266 Carlo d’Angiò, figlio del Re di Francia, stabilì la sua residenza nella città partenopea, nominandola capitale del Regno di Sicilia e diede mandato di costruire un nuovo castello in prossimità del mare, il Castel Nuovo o, come comunemente conosciuto, il Maschio Angioino. Alla corte dei regnanti si tenevano sontuosi banchetti ricchi di prelibatezze al termine dei quali il ciambellano raccoglieva tutti gli avanzi e, dagli spalti del castello, usava richiamare le folle che si radunavano in attesa attorno ai fossati e urlava “Les entrailles!”. Le interiora, le frattaglie erano considerate scarti non adatti ai palati reali, ma avevano una loro utilità perché servivano a sfamare il popolino e farlo sembrare un gesto di grande generosità.
Una volta lanciate nei fossati, les entrailles potevano anche essere mangiate dai coccodrilli, allora le popolane, pur di accaparrarsi gli avanzi, cominciavano a sbraitare, a spintonarsi fino a darsele di santa ragione.
Da qui, con il termine zantraglia si è passati a definire un tipo di donna volgare, di bassa estrazione sociale, rumorosa, sgradevole.
Con quei rimasugli di carne, le rezdòre (per dirla alla parmigiana) preparavano un piatto chiamato zuppa di soffritto che, ancora oggi, fa parte della tradizione culinaria napoletana. Ma la cucina partenopea è tutta un’altra storia…

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