1° CLASSIFICATO
Io e te: insieme contro il mondo
Alinovi Chiara
-C’è qualcuno? Gridò una voce femminile.
– Chi c’è qui?
Ho chiuso gli occhi e mi sono messo le mani sulle orecchie, ma comunque sentivo che
camminava, spostava, cercava.
– Esci da lì. Ti ho visto.
Ho riaperto gli occhi. Una figura scura era seduta sul mio letto.
– Muoviti. Dobbiamo andarcene, fra poco saranno qui.
Uscii da quel piccolo spazietto tra l’armadio e il muro e vidi mia sorella Olivia. Che ci faceva qui?
Pensai tra me e me, era magra, sporca e con i vestiti pieni di sangue.
– Sono venuta a prenderti! Hai idea di cosa sta succedendo fuori? Cosa fai lì impalato? Dobbiamo
trovare un posto dove nasconderci!
– Un posto dove nasconderci? E da cosa? Non è mica scoppiata l’apocalisse!
-A no?
Disse Olivia
– Senti non vorrai mica dirmi che è scoppiata una bomba nucleare e che tutti si sono trasformati in
zombie mangia cervelli da cui dobbiamo scappare?
Dissi per prenderla in giro.
– Certo che no! Dobbiamo scappare perché sta per scoppiare l’apocalisse!
La guardai allibito pensando che stesse sicuramente scherzando, ma la sua espressione non faceva
trasparire nulla di buono e poi erano due anni che non la vedevo.
– Senti i tuoi genitori prima di morire mi hanno detto che ti trovavi qua, sapevano tutto!
– Come? Sono… Sono morti!?!
Il suo sguardo era gelido, sfuggente.
– Si mi spiace Lorenzo, ma non è il momento di piangere…Ehmm senti devo raccontarti un po’ di
cose..
Ero veramente sconvolto: non avevo idea di quello che fosse accaduto, i miei genitori erano morti,
ed ora ero completamente solo.
Olivia mi raccontò che il governo degli Stati Uniti aveva inaspettatamente lanciato dei missili
contro la Russia, senza rendersi conto di ciò che la cosa avrebbe provocato in tutto il mondo. I
missili avevano distrutto dei containers contenenti gas pericolosissimi che, venendo a contatto con il
sangue umano, avevano mutato il DNA e la genetica, creando degli esseri a metà tra la vita umana e
l’oltretomba, privi di coscienza che uccidevano tutto ciò che incontravano ed infettavano chiunque
riuscisse a sopravvivere al loro contatto.
-Senti Lorenzo il mondo non è più come lo hai lasciato, in pochi giorni è cambiato tutto! Non si
tratta più di vivere ma di sopravvivere! Le persone ancora vive prendono d’assalto i supermercati, i
negozi d’armi e non si tratta solo di scappare dagli YY (cromosomi impazziti), ma anche dalle
persone che hanno perso il senno. Siamo tutti contro tutti, siamo nel bel mezzo di una guerra totale!
Olivia improvvisamente vide la mia disperazione e si rese conto che non la stavo seguendo.
-Non sei solo, io sono qui per te e insieme dobbiamo pensare ad un rifugio sicuro, dove nessuno ci
possa trovare. Qui in città è pericoloso.
-Olivia ma sei sicura di quello che mi stai dicendo? Come è possibile che io non mi sia accorto di
nulla? Ho lasciato mamma solo alcuni giorni fa in una macchina e tu mi stai dicendo che è morta! E
papà!
Olivia mi scrollò con forza dal mio stato di catalessi e mi trascinò fuori dalla porta; mi girai indietro
consapevole di lasciare per sempre il mio passato in quella cantina.
Uscimmo correndo nel buio della notte; Olivia mi trascinò con se, evidentemente sapeva già dove
andare.
Salimmo su una macchina, probabilmente rubata, e ci dirigemmo verso nord, verso le montagne.
L’orizzonte era deserto e il silenzio era totale ad eccezione di urla improvvise che ogni tanto ci
davano la prova di essere nella realtà e non di stare vivendo un sogno, o meglio un incubo.
Salimmo per una stradina di montagna, guardai Olivia e, sempre più sconvolto, le chiesi:
-Dove stiamo andando?
Non mi rispose, era troppo spaventata, probabilmente neanche lei era sicura di quello che stavamo
facendo.
Improvvisamente la macchina si fermò, Olivia, impietrita, scese dalla macchina per cercare di
capire cosa potesse essere successo.
-Resta in lì e non ti muovere per nessuna ragione.
Mi ordinò mentre alzava il cofano della macchina. Sentendo un rumore sordo in lontananza, guardai
attraverso lo specchietto retrovisore e vidi una schiera di uomini che avanzano molto velocemente.
Avevo lasciato gli occhiali in cantina, ed essendo miope faticai a mettere a fuoco, ma non
abbastanza per non capire che eravamo in grossi guai.
-Olivia…voltati!
Lei si voltò e disse:
– Cavolo dobbiamo muoverci ma la macchina è ferma.. come facciamo?
– Non abbiamo tempo per pensare… scalda le gambe e beh…corri!
Iniziammo a correre senza una meta, cercando solo un posto dove poterci nascondere da quei
“cosi”, quando improvvisamente trovammo una casetta e ci chiudemmo dentro. Non arrivò
nessuno, evidentemente non ci avevano visto.
-C’è mancato poco!
Esclamai.
Olivia non sembrava sollevata, aveva costantemente un’espressione arrabbiata e impaurita.
-Domani ce ne andiamo di qua, è pericoloso. Sai ho sentito parlare di una comunità arroccata su una
di queste montagne. E’ un luogo sicuro e noi dobbiamo cercare di arrivarci. Ora dormi perché
domani dovremo fare tanta strada.
Ero così stanco che non me lo feci ripetere due volte, ma tempo di chiudere gli occhi Olivia mi
svegliò.
-Lorenzo alzati, è meglio che partiamo mentre c’è ancora buio.
Mi allungò un pezzo di cioccolata e quel gesto mi fece capire che, non so come, ma provava una
sorta di affetto per me.
In fondo eravamo due sconosciuti, due fratelli sconosciuti.
Così partimmo in silenzio, fortunatamente il luogo era deserto e per varie ore durante il nostro
percorso non incontrammo nessuno. Eravamo stanchissimi, spaventati e disperati, ma eravamo
insieme, ognuno di noi si stava prendendo cura dell’altro.
A tarda sera, affamati ed infreddoliti, trovammo rifugio in una grotta e, vedendo Oliva allo stremo
delle forze, mi offrii di fare la guardia, dentro di me stava nascendo riconoscenza verso questa
sorella inaspettata. Ma la mia guardia durò poco e mi svegliai che albeggiava. Olivia stava ancora
dormendo, doveva essere veramente sfinita. Mentre nei giorni scorsi io ero al riparo, nascosto al
mondo nella mia cantina, lei chissà cosa si era trovata ad affrontare. Decisi così di lasciarla riposare,
mentre io avrei ispezionato i dintorni.
Uscii fuori e mi trovai nel bel mezzo di un bosco, ma guardando in altro verso il cielo, quasi a
cercare conforto, lo trovai: in cima al monte, proprio di fronte alla nostra grotta, si innalzava una
vecchia struttura circondata da alte mura.
-Oliva svegliati, vieni a vedere!
– Credo sia quella la comunità di cui ieri ti parlavo, andiamo Lorenzo, svelto.
Nel giro di qualche ora arrivammo alle porte del paese, bussammo ma nessuno venne ad aprirci.
Dopo alcuni minuti, dall’alto delle mura, sentimmo una voce.
-Chi siete?
Olivia rispose.
-Mi chiamo Oliva, sono amica di Filippo Franchi, gli dica che io e mio fratello abbiamo veramente
bisogno di aiuto.
– Un attimo che avviso Franchi.
La paura prese il sopravvento. Ci guardammo senza proferire verbo ma entrambi stavamo pensando
la stessa cosa: cosa ne sarebbe stato di noi se non ci avessero accolti?
Il tempo non passava, i secondi duravano ore, quando finalmente Filippo si affaccio e riconoscendo
Olivia venne ad aprire la porta.
Ci accompagnò in quello che doveva essere un ambulatorio medico del paese, dove un medico
molto gentile ci visitò e, dopo aver constatato che eravamo in salute, ci portarono acqua e cibo.
Ci dissero che da loro eravamo al sicuro, ma fecero molte domande ad Olivia.
Io crollai fisicamente e psicologicamente, solo in quel momento pensai ai miei genitori e sentii
enormemente la loro mancanza… finché il sonno ebbe la meglio.
Passarono minuti, ore o forse giorni.
Quando mi svegliai trovai una gentile signora che si stava prendendo cura di me e una lettera di
Olivia.
La aprii senza aspettarmi nulla di particolare.
Solo una parola: Tornerò!
Sono passati 10 anni, qualche scienziato è riuscito a trovare una cura ed ora la nostra vita scorre
normalmente come prima dell’apocalisse. Molti sono morti ma l’umanità ha avuto la meglio.
Olivia non è mai tornata.
2° CLASSIFICATO
TESTO PER IL CONCORSO “LETTO, RILETTO E RISCRITTO”
Del libro: “IO E TE”, di Niccolò Ammaniti
di Annalisa Coppellotti – 2G
Modifico una scena del capitolo 7 (riportata di seguito)
“Siamo finiti sul divano. Io sopra, lei sotto. Olivia scalciava e mollava pugni in aria cercando di
liberarsi ma io ero più forte di lei. Le ho afferrato i polsi e le ho urlato a dieci centimetri dalla
faccia: -Che cazzo vuoi da me? Dimmelo!
Lei ha cercato di liberarsi, ma a un tratto, come se non avesse più forze per combattere, si è lasciata
andare, arrendendosi, e io le sono crollato addosso.”
[…]Ho alzato la testa lentamente strusciando il mento sul suo petto freddo e sudato. L’ho osservata
per qualche momento, ma lei non dava segni di vita. Il viso bianco e liscio come ceramica era
contornato dai suoi capelli biondi, che come seta lo accoglievano in un quadro sereno. I suoi occhi
che parevano di vetro, osservavano il soffitto spalancati. Le sue labbra violacee erano appena
socchiuse, quasi a chiedere un sospiro. Mi ricordava la bambola che mi mostrava sempre nonna
Laura chiedendomi di ricavarne una storia che mi inventavo sul momento. Me lo chiedeva perché
ogni tanto anche lei aveva bisogno di sentire una storia normale, rispetto alle mie solite di
fantascienza. Infatti quella bambola mi era sempre parsa come una principessa a cui non potevo
costruire altro che una semplice fiaba. Olivia sembrava proprio una principessa in quel momento.
La sua pelle era perfetta, e così sarebbe potuta essere anche la sua vita.
-Perché ti sei rovinata così? Perché non stai vivendo la tua fiaba? Perché sprechi tutta la tua
bellezza? Perché vuoi rendere difficile la vita agli altri? Perché a tuo padre che nemmeno riconosci
più come tale? Perché a mia madre? Perché a me? Vuoi attenzioni, vuoi soldi, vuoi vivere, vuoi
morire, vuoi essere libera, vuoi rifugio. Usi gli altri per raggiungere obiettivi che nemmeno tu sai
quali sono.- Urlavo, piangevo, la stringevo, sputavo. E lei rimaneva nella stessa posizione inerte.
Giaceva debole e indifferente mentre io mi agitavo sopra di lei. Una nube di odio mi ha avvolto la
testa. Più la guardavo e più pensavo a tutti i problemi che aveva causato alla mia famiglia, e a
quanto non gliene fosse mai importato nulla. Sono rimasto immobile, come quella volta che
avevano insultato mia mamma in strada. Le orecchie e il collo mi erano diventati bollenti e mi
girava la testa, ma stavolta non potevo permettere al gigante di pietra di fermarmi. L’avevo lì, sotto
di me, mezza morta. Lei non se ne sarebbe accorta. E tutti avrebbero pensato che lei fosse finita
chissà dove sopraffatta dalla droga. Appena lì a terra c’era un cuscino di velluto di seta verdognolo
ricamato con motivi floreali d’oro, un po’ impolverato, come del resto tutti gli oggetti della contessa
erano. L’ho afferrato con fermezza mantenendo lo sguardo verso la creatura. Avevo paura. Lo avevo
visto fare in un film. Dovevo solo rimanere fermo e aspettare che i suoi polmoni cessassero di
agitarsi. Mi sono avvicinato con le braccia rette che mantenevano il cuscino. Mi sudavano le mani e mi mordevo il labbro. Quando le sue, secche, hanno cominciato a muoversi : -Fallo. Sei più forte di
tutti gli altri. Fallo.-
È accaduto tutto in un istante. È accaduto tutto per istinto.
Ho lanciato il cuscino, le ho avvolto le mani lungo la testa e l’ho baciata.
Più le bagnavo le labbra e più sembrava risvegliarsi da quello stato mortale. Allora l’ho avvolta con
le braccia e lei ha fatto lo stesso. Mi stringeva a sé e mi mordeva le labbra come fossi la sua unica
fonte di vita. E io la carezzavo lungo la schiena e fino alle cosce come se aiutasse a riattivare la
circolazione del sangue che poco prima si era gelato. La scaldavo con il mio respiro e la proteggevo
fasciandola con il mio corpo. La osservavo e piangevo nel vedere la sua disperazione. Aveva
bisogno di me e non cercava altro in quel momento. In me vedeva una calamita, se me ne fossi
andato lei sarebbe morta sul colpo.
Ho lasciato che mi usasse come voleva mentre io continuavo a carezzarla e fissare il suo volto che
pian piano riprendeva colore ed espressione. Si è avvinghiata alla mia schiena e mi ha circondato
con le gambe ossute. Continuavo a guardarla mentre lei si serviva di me. Provavo una sensazione
strana mai provata prima. Sentivo che la stavo completando, e mi piaceva. Ansimavamo e
sudavamo ma eravamo entrambi felici. Lei aveva gli occhi chiusi e sorrideva, mentre le guance si
punteggiavano di rosso. Il violaceo era sparito dalle sue labbra, adesso gioivano e mi mordevano.
Aveva il petto bollente e il seno aveva ripreso colore. Rideva, rideva, rideva e la cosa faceva ridere
anche me. “Che cretino” ho pensato. Era come se le stessi donando energia, e il suo desiderio
sembrava quello di prosciugarmi. Arrivò persino a tirarmi i capelli, ma il sorriso sincero che le
procuravo mi trattenava lì. Ecco. In quella circostanza sentivo il gigante di pietra che mi spingeva
verso lei. Nonostante i graffi, le prese e il caldo, io stavo lì. Finché si è sentita completa, e allora ha
ripreso un respiro tranquillo. Lentamente ha allentato la presa e si è lasciata cadere sul divano,
sempre con gli occhi chiusi. Le ho dato un ultimo bacio e l’ho avvolta in una coperta ma lei se n’è
accorta appena. Sembrava che dormisse, ma non dormiva. Strizzava le labbra e sorrideva. Le ho
chiesto se avesse bisogno di qualcosa, e mi ha risposto come se stesse sognando: -Sonniferi…
Sono rimasto per un momento sul letto ripensando a ciò che era appena successo. Mi sentivo forte.
Stavo diventando grande. Non penso di essermi mai sentito innamorato di lei, più che altro quello
che provavo era soddisfazione. Mentre rimuginavo, lei vagava serena nel mondo dei sogni, era
bella, viva, ma dopo tutta la serie di emozioni aveva bisogno di riposare. Volevo prendermi cura di
lei come avrebbe fatto un adulto. E sapevo dove prendere le medicine.
-Ci penso io. Tu stai qua, io torno presto.
Probabilmente non mi aveva sentito. E probabilmente non si sarebbe ricordata nulla.
Annalisa Coppellotti – 2G