Le storie degli altri

“Per innescare lo scambio bisogna conoscere l’altro. Chi è l’altro, da dove viene, qual è il suo background. Innescare questa curiosità attraverso il racconto e attraverso uno scambio di storie. Noi siamo esseri relazionali e lo scambio può diventare tale solo quando c’è una relazione, e la relazione parte dalle storie.”51czgwwrfll-_sx320_bo1204203200_

Questo afferma  Igiaba Scego in un’intervista in conclusione al suo libro: “La mia casa è dove sono”, in cui affronta le tematiche dell’immigrazione. Proprio l’immigrazione infatti può essere un modo per imparare a guardare le persone per quello che sono veramente, in un’interazione tra le caratteristiche biologiche  e la loro storia.

Platone definisce l’essere umano come: “gettato nel mondo, cioè non si è messo da sé nella condizione di vivere in questo o quel mondo”; se fossimo stati gettati in un altro luogo, periodo o contesto sociale, pur essendo sempre noi, saremmo tutti completamente diversi, perché la nostra storia sarebbe diversa. Saremmo potuti nascere ovunque, potremmo anche essere su un barcone adesso, e avere come unica speranza quella di arrivare in Italia e di essere accolti.

Se infatti guardiamo  qualcuno o qualcosa che non conosciamo, il nostro cervello si attiva e cerca di spendere meno energia possibile. Per farlo, fa uso di pregiudizi e stereotipi che, nonostante l’accezione negativa con cui sono visti, sono processi naturali per il nostro cervello. La percezione visiva gioca un ruolo fondamentale e, quando si tratta di persone, il colore della pelle è la cosa che influenza maggiormente i nostri ragionamenti. Secondo un recente studio guidato da Alessio Avenati, afferente al dipartimento di Psicologia dell’Università di Bologna, le convinzioni culturali, apprese involontariamente, influenzano il processo dei nostri neuroni, e la nostra capacità di provare empatia. Durante l’esperimento su un campione di 20 italiani bianchi e 20 africani residenti in Italia, sono state mostrate finte mani bianche, nere e viola, conficcate da un ago. Tramite la tecnica della stimolazione magnetica transcranica, si è visto che i circuiti del dolore delle persone testate, si attivavano soltanto quando queste guardavano mani con il proprio colore della pelle. Ovvero provavano empatia soltanto per persone della loro stessa etnia, e non per le altre. E’ spaventoso, ma il cervello funziona proprio così.amani-di-i-colori

E quindi? Siamo davvero prigionieri di un labirinto senza via di fuga, il nostro cervello? No, non è così. Occorre però compiere un piccolo sforzo e imparare a conoscere le storie degli altri.

Informarsi sul perché persone di altri paesi lasciano la loro casa, capire che non è una scelta facile, scoprire che dietro alle persone c’è una storia e molto di più di quello che con i nostri sensi “vediamo” o crediamo di vedere.

Sabrina Sassi 2F

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