“Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.
Cosí li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla.
Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti”
Cesare Pavese
La complessità della mente umana mi ha sempre meravigliato. Siamo riusciti a domare il fuoco, abbiamo inventato i numeri, abbiamo imparato a coltivare la terra, a farci la guerra e poi a curare le ferite. Abbiamo costruito il telefono, abbiamo persino esplorato lo spazio: abbiamo abbattuto tutte le barriere apparentemente insormontabili grazie all’intelligenza. O meglio, quasi tutte. Già perché l’essere umano, nella propria complicata esistenza, è in grado di discutere di fisica quantistica e di ipotizzare l’esistenza di altri universi, ma ancora fatica nell’accettare il proprio destino: la morte.
Non vi pare strano? È un concetto che accompagna l’uomo dalla notte dei tempi, che esiste da sempre, tuttavia non riusciamo a cogliere la fragilità della vita finché non la vediamo fuggire davanti ai nostri occhi. Abbiamo paura, non ne vogliamo sentir parlare. Eppure non dovremmo temerla: è solo grazie ad essa se esiste la vita. Pensiamo: potrebbe esistere il giorno in assenza della notte? Non sarebbe più giorno, sarebbe consuetudine, abitudine eterna, e non lo apprezzeremmo più. Ugualmente parliamo di vita e morte: necessarie entrambe allo stesso modo.
Nonostante sia una delle paure più comuni tra gli uomini, molte persone, davanti a questo comune epilogo, guardano avanti con tranquillità, senza timore, con la pace nel cuore: i ragazzi sono tra questi. Perché temere la fine? Spesso mi è stato risposto: “Perché ho paura che, quando lei verrà a farmi visita, non avrò fatto tutto ciò che volevo”.
I ragazzi affrontano questo problema in prima persona, i ragazzi lo sanno: lasciare questo mondo in modo prematuro è terribile. Tuttavia il rischio permane, e il problema può essere affrontato alla radice vivendo con intensità la quotidianità. Agendo in questo modo, cosa può andare storto? “Vivi ogni giorno come se fosse l’ultimo”: uno di quei proverbi sentiti milioni di volte. Eppure è così vero, così valido, se solo proviamo a pensarci un istante. La soluzione è concreta e semplice, dobbiamo solo metterla in atto e avere il coraggio di affrontare la nostra comune certezza. Urlare, sognare, essere liberi, fare ciò che amiamo e amare ciò che facciamo, cogliere la bellezza nel mondo, baciare con intensità, vivere davvero: questo è ciò che ci permetterà di perpetuare la nostra essenza per sempre, e superare anche l’ultima, apparentemente insormontabile, barriera.
Volpato Giulia