Ho visto Van Gogh, l’ho preso per un orecchio e gli ho urlato contro: “Cosa vuoi dal giallo?”. Lui sembrava non capire, così ho riformulato la domanda: “Che cosa significa il giallo? Perché ti ostini a metterlo nei tuoi quadri?”. Questa volta ha appoggiato la sua fronte alla mia e ha cominciato a singhiozzare. “Ho cercato di mettere il giallo in ciò che avevo accanto: il mio letto, che aveva delle tristi assi in legno scuro, con il giallo è diventato un giaciglio speciale, l’angosciosa parete spoglia della mia stanza adornata con quadri gialli, mi ha fatto ritrovare la gioia”. Le sue parole mi avevano strappato un sorriso, così mi sono immaginata “La notte stellata” senza il suo colore giallo: un forte vento che spazza via ogni cosa felice, lasciando un turbine di tristezza che avvolge la cittadina sotto un cielo scuro. Per il mio caro amico, quel colore, era il suo modo di vedere un mondo migliore, attraverso gli infiniti fiori che girano intorno al sole, gli sterminati campi di grano, accerchiato da solarità, benessere, vita.
Invidiavo lo sguardo di Van Gogh: anche se era da solo la maggior parte del suo tempo, non si stancava mai di guardare il mondo e trasformarlo in qualcosa di piacevole che lo facesse star bene. Ammiravo la sua capacità di guardarsi dentro e di cercare l’armonia con sé stesso nelle cose semplici: la cura per la sua anima l’aveva trovata in una tavolozza di colori.
Allora ho alzato la testa di Vincent, in modo che riuscisse a guardarmi in faccia, e gli ho asciugato le lacrime dicendo: “Insegnami a trovare il mio giallo”.
Chiara Boschi 1E
Foto di Agi Matias 1E