Le acque della memoria e dell’oblio – Rubrica acquatica vol. 10

PINOCCHIO C.Collodi Disegni di F.Faorzi Casa Editrice A.Salani 1941 | eastmarketplace.com

Allo scoccare del mezzodì la maestra Aida interrompeva ogni attività. Tirava fuori da un cassetto della cattedra “Pinocchio. Le avventure di un burattino”; non saprei dire quale edizione fosse (probabilmente, vista l’usura del volume, la prima che vide Carlo Collodi nel 1883…), ma a noi, suoi scolaretti di terza elementare, non importava granché. Bastava uno sguardo per riconoscere quel libro tanto amato, ricoperto con una carta di color rosso natalizio. La maestra iniziava a leggere con tono suadente. Era la nostra fata turchina. Che incanto! 

Fra le mirabolanti avventure del burattino testa di legno mi restò indelebile nella memoria l’episodio della ricerca di suo padre finito nella pancia della balena. Proprio lì, il povero Geppetto sembrava rassegnato a vivere per sempre. Ma poi, ecco, che grande emozione per la loro rocambolesca fuga dal ventre del cetaceo.

Ricordo (la memoria esita da associazioni analogiche del tutto imprevedibili) che, molti anni dopo, provai ancora quella fanciullesca emozione davanti ad alcune opere d’arte:

1) Il reliquiario d’avorio del IV secolo d.C. conservato presso il Museo di Santa Giulia a Brescia.

Lipsanoteca di Brescia.jpg

Come si può notare dall’immagine sopra riportata, vi sono diverse figure scolpite sul piccolo reliquiario (22x32x25 cm). Quando feci notare a mio suocero che il nome del reliquiario, più propriamente, è “lipsanoteca”, sbottò in dialetto: Mò pèrla c’mé t’magn, lé na béla scatléna dorèda con i oss d’i sant (parla come mangi, è una bella scatolina dorata che contiene le ossa dei santi).

Sulla faccia anteriore del manufatto, ai lati della serratura, si possono ammirare (come fotogrammi di pellicola, cinema ante litteram) i due momenti fondamentali della storia biblica del profeta Giona, prima inghiottito (scena a sinistra), poi (scena a destra) rigurgitato da un “grosso pesce”: Il Signore dispose che un grosso pesce inghiottisse Giona. Così Giona rimase nel suo ventre per tre giorni e tre notti. Dal ventre del pesce Giona pregò il Signore suo Dio (Giona 2,1-2, Bibbia CEI); dopo la toccante implorazione (2,3-10), “il Signore comandò al pesce ed esso rigettò Giona sull’asciutto (2,11). L’episodio è interpretato, in chiave cristiana, come prefigurazione della morte e risurrezione di Gesù. Nel testo biblico il termine ebraico tannîm indica un “grande pesce” (e, in generale, tutti i cetacei); con lo stesso significato di ‘pesce enorme’ fu tradotto kètos in greco, cetus in latino, ma pure ballaena, da cui, in italiano, cetaceo e balena.

2) Le catacombe romane dei Santi Marcellino e Pietro

Nel IV secolo d.C., nei cubicoli delle catacombe, i cristiani, sulla scorta delle figure del ketos dell’antichità (si veda, in rete, il saggio di Stefano Riccioni Mutazioni iconografiche e transizioni simboliche del ketos dall’Antichità al Medioevo), reinterpretarono la scena dell’episodio biblico del profeta Giona con una pittura senza volume con funzione didascalica. Il grande pesce biblico fu immaginato con le fattezze di un drago marino che, con un salto di secoli, potremmo paragonare ad un fumetto dedicato a Nessie, il leggendario mostro di Loch Ness nelle acque scozzesi.

 

 

 

 

 

 

3) Basilica di Aquileia, Mosaico pavimentale, prima metà del IV secolo

Giona ingoiato (a sinistra) e rigurgitato (a destra) dal mostro marino

Il mosaico pavimentale della Basilica di Aquileia, esteso per 760 metri quadrati, è il più antico mosaico cristiano e il più grande in Occidente. Le raffigurazioni principali del pavimento possono essere suddivise in quattro campate, partendo dall’entrata. La quarta campata, che conclude il ciclo delle raffigurazioni, è costituita da un unico mirabile tappeto musivo, che rappresenta un mare pescoso con le varie scene della storia di Giona, motivo ricorrente nell’arte paleocristiana perché strettamente connesso con la speranza della risurrezione dei morti. Si possono riconoscere vari momenti della vicenda: Giona con le braccia alzate in atto di preghiera invoca Dio per salvare la nave e l’equipaggio dalla tempesta; Giona tra le fauci del mostro marino, qui raffigurato come pistrice, animale fantastico della mitologia greco-romana; Giona viene sputato dal mostro; Giona si riposa sotto un pergolato di viticci di zucca. Tutto intorno, tra linee che indicano le onde marine, svariati pesci, polipi e molluschi.

4) I mostri del mare a… Firenze

Piero di Cosimo (Firenze 1462-1522), Liberazione di Andromeda, Olio su tavola (70×123 cm), 1510-1513 circa, Museo degli Uffizi, Firenze

Nello stupefacente dipinto di Piero di Cosimo, in cui il pittore riprende Le Metamorfosi di Ovidio (libro quarto, vv. 663-764), ritorna l’antica figura del ketos, terribile mostro inviato ad uccidere Andromeda, poi liberata da Perseo che, con i suoi calzari alati, plana dal cielo (in alto a destra) e poi (al centro) sguaina la spada per decapitare il drago marino

Nelle Lezioni americane, nel capitolo dedicato alla Leggerezza, Calvino rivisita il mito di Perseo e Medusa. “Perseo ha vinto una nuova battaglia, ha massacrato a colpi di spada un mostro marino, ha liberato Andromeda. E ora si accinge a fare quello che ognuno di noi farebbe dopo un lavoraccio del genere: va a lavarsi le mani. In questi casi il suo problema è dove posare la testa di Medusa. E qui Ovidio ha dei versi (IV, 740-752) che mi paiono straordinari per spiegare quanta delicatezza d’animo sia necessaria per essere un Perseo, vincitore di mostri: “Perché la ruvida sabbia non sciupi la testa anguicrinita (anguiferumque caput dura ne laedat harena), egli rende soffice il terreno con uno strato di foglie, vi stende sopra dei ramoscelli nati sott’acqua e vi
depone la testa di Medusa a faccia in giù”. Mi sembra che la leggerezza di cui Perseo è l’eroe non potrebbe essere meglio rappresentata che da questo gesto di rinfrescante gentilezza verso quell’essere mostruoso e tremendo ma anche in qualche modo deteriorabile, fragile. Ma la cosa più inaspettata è il miracolo che ne segue: i ramoscelli marini a contatto con la Medusa si trasformano in coralli, e le ninfe per adornarsi di coralli accorrono e avvicinano ramoscelli e alghe alla terribile testa”.

La memoria di queste opere d’arte fluttua come l’acqua. Memoria ondivaga. Un dubbio ontologico m’assale: – E se non il ricordo, ma l’oblio fosse connaturale all’Essere? Come potrei rispondere? Solo un Dio lo può. Mi affido ai versi di Rainer Maria Rilke in “Die Sonette an Orpheus”, Insel-Verlag, Lipsia, 1923 (II, 29) e ripresi nella traduzione di Giacomo Cacciapaglia da Sonetti a Orfeo e poesie sparse, Edizioni Studio Tesi, Pordenone, 1990):

Und wenn dich das Irdische vergaß,
zu der stillen Erde sag: Ich rinne.
Zu dem raschen Wasser sprich: Ich bin.

E se il mondo ti avrà dimenticato,
di’ alla terra immobile: Io scorro.
All’acqua rapida ripeti: Io sono.

Luigi Lanzi

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