MAM: solidarietà al femminile nella giornata mondiale delle ONG

“Sei mia sorella” . Laura coordina i progetti dell’associazione MAM Beyond Borders e questa è la frase più bella che si è sentita dire lavorando sul campo. Ludovica, fondatrice e volontaria, non ricorda una frase, ma un gesto: il disegno di una bambina in cui erano ritratte assieme, coi nomi di entrambe.

MAM è nata nel 2013 dopo una missione di Ludovica come ostetrica, lavoro per cui ha studiato proseguendo con un master in medicina tropicale e salute globale. Dopo aver riscontrato varie carenze a livello clinico si è decisa ad avviare un percorso appoggiandosi ad un’associazione che, però, si è dimostrata meno coinvolta del dovuto, costringendola a raccogliere fondi per creare in autonomia Mamme dell’Altro Mondo. Da questa prima esperienza, che come quella di Laura è stata costellata di insicurezze e curiosità, ha imparato tanto, ma soprattutto l’impossibilità di affidarsi al “andrà tutto bene” e il bisogno di “cambiare mentalità per crearne un’altra in modo da capirli e aiutarli”. 

All’associazione si sono velocemente unite le sue colleghe del master transculturale, arrivando a costruire una rete di assistenza in ambito materno infantile. Nel tempo il progetto ha preso forma, allargandosi: tra le tante iniziative possiamo nominare lo screening della malnutrizione in Siria, il sostegno alle mamme nei campi profughi in Grecia tramite incontri, accompagnamenti in ospedale e visite fino all’allattamento, “Baby on MAM” che permette di parlare del parto come in un corso “occidentale”, ma anche quelle in Etiopia, Camerun, Sierra Leone, tra Serbia, Croazia e Macedonia, o al confine tra Siria e Turchia, senza dimenticare quelle in Italia, come la vendita di copertine fatte a mano, il cui ricavato viene devoluto alla città in cui si svolge la vendita secondo le loro richieste – a Modena sono state seguite donne vittime di violenze e a Piacenza hanno comprato dei macchinari pediatrici.

Le iniziative nascono dai volontari stessi che confrontano i bisogni in cui si imbattono sul campo, prendendo a cuore una causa e entusiasmando tutto il team. È anche per questo che troviamo “condivisione” tra le tre parole che Ludovica userebbe per descrivere MAM, insieme a “solidale” e “creatività”. Solidale racchiude in sé un’idea di parità tra beneficiario e volontario che lavora “senza barriere”, mentre creatività deriva dal costante bisogno di reinventarsi, come in pandemia, quando tutti gli eventi sono stati bloccati e le infermiere sono state costrette a concentrarsi sui pazienti italiani. È proprio in questa occasione che è nato il gemellaggio tra partorienti italiane che facevano beneficenza economica e partorienti dei campi profughi che la ricevevano, in modo da fornire assistenza gratuita a entrambe. 

Laura invece, che vi si è avvicinata come progettista e ora lavora a Lesbo in quanto centro di crisi migratoria dal 2015, sceglie di riassumere con le parole volontariato, passione e donne. Da quei campi, che dice essere ben rappresentati dai media, ma in cui si aspettava più collaborazione che competizione da parte delle altre associazioni umanitarie, si porta sempre dietro un bagaglio emotivo. Ammette che “entrano a far parte di te e della tua vita, ma per poter rispondere ai problemi sul lavoro bisogna distanziarsi”. Ed è proprio la paura dell’impatto emotivo a impedire a Ludovica di compiere missioni a lungo termine, anche se è già stata varie volte sul posto per consegnare il materiale e occuparsi di mamme e bambini.

 

Nonostante frequenti zone a rischio e la sua famiglia sia preoccupata ogni volta che parte, perché essere militante in certe zone per uomini e donne non sarà mai uguale. Lei, come Laura, non ha paura: ha sempre investito tanto in sicurezza, scelto accuratamente collaboratori e fixer (ovvero i garanti locali) e lavorato solo con il consenso della Farnesina. Per lei il vero problema è che vedere tutto quello che lei ha e gli altri non hanno, come mamma e persona, “la scombussola”. Non vuol dire che parta a cuor leggero, ma solo che la motivazione, derivata dagli scout, di lasciare un mondo migliore e vivere in comunità la spinge a superare l’agitazione che a volte le fa dimenticare dettagli di cui si ricorda solo a posteriori, vedendo la documentazione. La cosa che la stupisce ogni volta infatti è la quantità di energia che regala essere parte attiva di un progetto umanitario, tralasciando l’immancabile incapacità di “archiviare i drammi” con cui viene a contatto, come può essere la violenza subita da una bambina, una collaboratrice del luogo che scompare dopo aver provato a varcare il confine ed esser stata imprigionata, una donna sulla trentina che dopo cinque anni in un campo si definisce finita perché non ne uscirà mai e, se lo facesse, non troverebbe né un lavoro, né un marito. 

L’altro motivo è sua figlia, che fin da piccolissima l’ha seguita nei contesti più sicuri. In Etiopia, dove l’intento è costruire una nuova realtà clinica affiancando il personale in modo che interiorizzi tecniche più evolute tramite compromessi ed emulazioni, ha avuto la possibilità di entrare a contatto con bambini di un’altra realtà. Ludovica sostiene che le abbia fatto cambiare atteggiamento su tante piccole cose: è infatti in grado di capire problemi tecnici e risolverli prima di tanti adulti della squadra e ha sviluppato il senso di umanità, lo stesso che l’ha spinta a far partire il progetto del sostegno a distanza per non “abbandonare” i suoi amici africani durante la pandemia. È grazie a lei che Ludovica definisce la sua seconda missione in Etiopia la sua preferita, ma anche grazie al giornalista di Fanpage, partito con lei, che una mattina, per farle un regalo, ha scelto di seguire il percorso dei bambini, da casa fino a scuola, partendo dal più lontano; vederli percorrere più di un’ora di strada (motivo per cui rifanno colazione a scuola), riconoscerli uno per uno e capire di non essere la sola a interessarsi alle loro vite è stato per lei commovente. 

Tra i tanti progetti, Ludovica avrebbe il sogno di aprirne uno, con la collaborazione della Chiesa valdese, al confine tra Italia e Francia, dove i migranti muoiono congelati; allo stesso tempo si è spesso impegnata per ricevere l’ok per attivarsi su Lampedusa imbattendosi, però, in costanti problemi burocratici con Ministero degli interni italiano.

Ludovica e Laura sono attive da tempo, ma ognuno può fare la propria parte sia nel pratico, regalando o raccogliendo il materiale e partecipando alla giornata annuale di formazione per i più temerari, sia nel teorico, informandosi sulle differenti realtà e condividere le storie di chi non può farlo.

 – “Perché lo fai?” 

 – “Perché sento di doverlo alle donne che mi hanno dato fiducia”

Cleo Cantù

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