Stazione (storie ambulanti)

Quando mi trovo in una stazione, specialmente di notte, ancor prima di riguardarmi dalla gente poco raccomandabile che è facile trovarvi, perdo la testa immaginando le storie di chiunque mi capiti di incrociare con lo sguardo.
È una specie di tic, un vizio morboso di cui nemmeno mi accorgo ma non posso fare a meno, come strappare le foglie quando cammino vicino alle siepi o salutare mille volte prima di chiudere una telefonata.

Ad attirarmi probabilmente è la varietà di aspetti, toni di voce, camminate e gesti, che saltano di più all’occhio perché l’ambiente stesso rende facile prendere singolarmente i soggetti, cosa impossibile per esempio nel centro di una grande città; senza far rumore la mente inizia a divagare e i pensieri mi strappano alla realtà, talvolta mi capita di inciampare su un gradino o di non vedere qualche ostacolo. Pensa, riesco addirittura a dimenticare la musica negli auricolari: anche la mia ossessione per la musica cede il passo al ragazzo con tre zaini sulle spalle e la mascherina ben posizionata sul viso, alla coppietta felice che trascina trolley lucidi leggeri come nuvole, all’uomo trasandato che ha perso la via dietro qualche dramma o qualche vizio.

Più li guardo e più vorrei poter sapere come si chiamano, quanti anni hanno, da dove vengono, dove vanno o dove tornano, se hanno qualcuno che li aspetta a destinazione o se è questa città la loro destinazione, se suonano uno strumento o amano qualcuno.
Apparenza e immaginazione tentano di sfamare la mia curiosità. Sono proprio loro due a suggerire alla mia mente, forse in maniera  prevenuta, che il giovane con tanti zaini sta tornando a casa dopo essersi fermato fuori per un po’, o che quel ragazzo e quella ragazza che camminano affianco con i trolley stanno insieme e insieme vanno da qualche parte, o che l’uomo con i vestiti sudici e la barba non curata non andrà a comprarsi il biglietto dell’autobus con gli spiccioli che ha chiesto a me.
L’immaginazione talvolta supera l’apparenza, elimina del tutto ogni pregiudizio e crea storie anche molto improbabili tramite qualche pezzetto di realtà: magari a quell’uomo mancavano solo cinquanta centesimi per cambiare vita o tornare a casa, dove lo aspettavano benessere e forse affetto. Forse i due ragazzi si stavano per dire addio guardando la luna dal binario tre, o si stavano trasferendo con quel poco che avevano per scappare da qualcuno, spinti dalla disperazione e dalla forza che solo un amore proibito può dare; e forse quel ragazzo aveva con sé una cartolina, un coltellino svizzero, un filo d’erba o un granello di sabbia della spiaggia più bella di tutte, finito accidentalmente in uno degli zaini. Tutto ciò mi fa sentire fuori dal mondo, un osservatore negligente lontano dal viavai indaffarato di quel posto, ma mi basta riflettere un attimo in più per cambiare idea: può essere che tra tutti questi umani ci sia qualcuno che immagina la mia di storia, cosa io porti nelle tasche o che canzone io stia ascoltando. Voglio credere che siamo tutti storie ambulanti agli occhi di qualcuno.

Niccolò Napolitano 5^B

Può interessarti...