A. Manzoni, I promessi sposi
Risulta chiara l’importanza della visione religiosa e della fede nella Provvidenza divina da parte dell’autore, la cui concezione della vita umana si dimostra ricca di problematiche. Il pessimismo accompagna il lettore nel corso di tutto il romanzo, ma essendo proprio lo scopo di Manzoni quello di riportare la realtà dei fatti, seppur in chiave romanzata, a noi lettori come segno di ribellione in una società meschina tanto allora quanto adesso, biasimarlo per la visione crudele che ha voluto condividere sarebbe un controsenso.
A ognuno è concessa la libera interpretazione della vita, nessuno obbliga a pensare che debba essere tutto negativo o che non esistano i lieto fine; siamo noi a decidere come vedere le cose, come affrontare i guai e gli inconvenienti; capiteranno, prima o poi, qualunque cosa si scelga di fare.
Gli imprevisti non hanno occhi, non hanno mente, non sanno se sei ricco o povero, ateo o cristiano, felice o triste, non sanno se sei già immerso in un mare di problemi o se non te ne è mai capitato uno; è giusto essere tristi, arrabbiati o demoralizzati quando capitano, ma reagire aiuta a superarli. Renzo non è stato fermo un secondo dall’inizio della storia, lo abbiamo sempre visto in cammino, pronto a fare tutto il necessario pur di sposare la sua amata Lucia; non si è fatto fermare dall’egoismo di Don Abbondio, dalla perfidia di Don Rodrigo, dalla peste, dalla povertà, dall’ignoranza, dalle perdite.
Un cataclisma di peripezie ha inondato la vita di due giovani creature impreparate alle avversità che la vita ha voluto offrire loro ed ogni personaggio incontrato incarna una delle infinite sfaccettature della nostra coscienza che in fondo sappiamo appartenerci . Così come la società ha influenzato il carattere e l’atteggiamento individualista di Don Abbondio, allo stesso modo l’ha fatto con noi che non siamo personaggi di un libro; il romanzo ci trasmette la certezza della presenza in tutti noi della meschinità e della sconfinata abbondanza del male che in eterno è destinata a perseguitarci; non c’è spiegazione, non c’è via di scampo. Siamo infimi in confronto alla supremazia di questa entità e non saranno la disperazione o l’allegria a porre fine al dolore.
Tutto è temporaneo, il male è per sempre; il motivo non ci è concesso saperlo, ma anche se ne fossimo a conoscenza cosa potremmo mai fare per contrastarlo; potrebbe non esserci ragione e in tal caso perdersi nel tentativo di trovarla sarebbe uno spreco di tempo; non ne abbiamo molto, va maneggiato con cautela e spenderlo cercando qualcosa che non si è nemmeno certi esista non è il genere di decisione che sarei propensa a prendere. Sapere che il male c’è e si è impotenti a riguardo non è una grande prospettiva, ma preferisco concentrarmi su ciò che non mi è ancora stato portato via finché ne ho la possibilità.
Cerchiamo tutti qualcosa che ci distragga dal male e, una volta trovata, faremmo di tutto per farla durare per sempre, pur di dare un senso a qualcosa che non ce l’ha. L’avere senso è un’unità di misura umana; il male va oltre, non rientra nei nostri limiti.
Ma in noi c’è molto altro. Abbiamo tutti il lato gentile e devoto di Lucia, che nulla ha fatto per meritarsi ciò che le è capitato, ma al contempo chi non serba dentro di sé un piccolo Don Abbondio, terrorizzato dalla società, pronto a fare le peggio cose pur di salvare se stesso ed interessato esclusivamente al proprio tornaconto; abbiamo certamente un Renzo dentro di noi, pieno di spirito, un testardo senza scrupoli, spesso ingenuo ma non balordo, piuttosto esuberante; custodiamo un’Agnese, combattiva e loquace, sempre pronta a dare consigli; una Perpetua, pettegola e indiscreta, ma pur sempre energica; e certamente un Fra Cristoforo, pentito dei suoi errori, umile e mansueto, certe volte impetuoso, giusto e onesto, magari impulsivo, ma pur sempre generoso; non manca a nessuno un Don Rodrigo, con i bravi al suo servizio, che crede nella sola legge del più forte, ma che preoccupandosi di salvare le apparenze dimostra di non avere il coraggio di accettare le conseguenze delle proprie azioni, risultando quindi un mediocre soverchiatore di poveri. Anche Azzeccagarbugli non potrebbe mai mancare, un personaggio che come tanti altri è rimasto intrappolato nelle grinfie della società e che, sapendo per certo che la giustizia degli uomini non difende gli umili dai potenti, preferisce aiutare i briganti piuttosto che rischiare la pelle per una giusta causa.
Infine quel lato oscuro, misterioso, tetro e confuso, che sappiamo di avere ma che nemmeno noi siamo in grado di decifrare, ricorda parecchio l’animo dell’Innominato, che, solitario e misterioso, presentatoci come il più forte, come colui che sovrasta tutto e tutti, l’incarnazione del male che ha in pugno ogni legge e autorità, scopriamo poi essere come noi terrorizzato dalla morte, in preda all’ansia di dover essere superiore. La sua conversione dimostra l’esatto opposto, ovvero che si è sempre in tempo, purché si sia realmente pentiti. Il male sarà anche l’unica certezza, ma non è detto che non ci debba essere altro.
Alberici Martina 2E