Alcuni avventori, una locanda e una locandiera: così si aprono le scene della commedia più conosciuta di Carlo Goldoni, La locandiera, rappresentata dalla Fondazione Teatro Due, con regia di Walter Le Moli.
Tutti si innamorano di Mirandolina (Paola De Crescenzo), albergatrice fiorentina abile ed indipendente: nessuno può resistere al suo modo di fare allegro e spavaldo, accompagnato però da gentilezza e discrezione; si innamorano il Marchese di Forlimpopoli (Massimiliano Sbarsi), il Conte d’Albafiorita (Nanni Tormen), il cameriere Fabrizio (Luca Nucera). L’unico intenzionato a non abbassare la guardia è il Cavaliere di Ripafratta (Emanuele Vezzoli), che proprio per questo diventa il bersaglio della locandiera e del suo talento nel far innamorare gli uomini. Complicano inoltre la vicenda le due commedianti Ortensia (Laura Cleri) e Dejanira (Cristina Cattellani), che si burlano degli ospiti aristocratici della locanda.
In questo fantasmagorico intreccio tutto potrebbe accadere: dalle numerose premure, o astuti affondi, ai doni ricercati, o gingilli da due soldi, al forzato interesse; nulla è lasciato al caso.
Sotto i riflettori non viene ricercata la massima accuratezza storica, ma anzi la scenografia essenziale e la recitazione degli attori rafforzano la grande attualità ed universalità della commedia, i cui protagonisti sfidano il precario equilibrio della gerarchia sociale e delle tradizioni, subendone le conseguenze nella propria vita sentimentale. Anche i costumi rispecchiano il ruolo e il peso sociale dei personaggi: un abito ricco ed elegante per il Conte, una casacca trasandata e scolorita per Fabrizio, vestiti con stampe da Arlecchino per le commedianti; Mirandolina, donna fiera della propria libertà ed indipendenza, indossa i pantaloni, a differenza del classico grembiule.
Nel rapido susseguirsi delle vicende le riflessioni nascono e sbocciano naturalmente: si ha la brillante possibilità di entrare in contatto con il microcosmo della locanda e con le intricate vicende sentimentali e psicologiche di ogni personaggio. Dialoghi serrati, monologhi e momenti di metateatro creano un’empatia ed un coinvolgimento senza precedenti.
Beatrice de Waal, 4D