Il Burattinaio- Parte 3

Riassunto delle parti precedenti:

Jack è un bambino silenzioso e solitario, vittima di alcuni episodi di bullismo, che porta sempre con sé una marionetta. Dato che spesso Jack ha diverse ferite sul volto e sul corpo in molti pensano che venga picchiato dalla madre, tuttavia nessuno cerca o riesce ad aiutarlo. Un’altra ragazzina, Vì, cerca di avvicinarglisi, per dargli un po’ di supporto.  Nel frattempo Lola, una bambina sveglia e ribelle, dopo una disputa con una compagna, accetta di entrare di nascosto nella casa di Jack, di cui tutti sono curiosi, per scattare qualche fotografia e provare che non si tira indietro alle sfide che le vengono laciate.

 

L’erba alta frusciava lasciandosi cullare dalla brezza, con scie calpestate frutto di giochi infantili.

Jack correva, questa volta per scelta e non per necessità, con un sorriso di incoraggiamento sul volto e il capo della marionetta che gli sbatacchiava sulla felpa.

Pian piano lo smalto lucido cominciava a rovinarsi, diventava più opaco, e in certi punti mancavano piccole scaglie, che lasciavano intravedere il legno chiaro con cui era stata realizzata.

Dietro sentiva Vì che rideva e lo chiamava per nome,i suoi lunghi capelli castani le svolazzavano dietro la schiena, invitandolo a fermarsi; sarebbe stato inutile: lei sapeva correre molto più velocemente, aveva più resistenza, ed infatti ne usciva sempre vincitrice.

Eccola, la voce che cresceva di intensità, il delicato scricchiolio del manto erboso, fino a quando non sentì un colpetto sulla spalla.

I due bambini si lasciarono cadere sul morbido tappeto, ancora sudati e ansanti, con lo sguardo rivolto al cielo screziato da eleganti e flessuosi cirri.

 

-Hai perso di nuovo!- disse Vì ridacchiando- Tocca a me scegliere la penitenza… vediamo… ce l’ho! Visto che te lo porti sempre dietro tu, il prossimo turno potrei scarrozzare io il burattino… insomma, è sempre con te, eppure sembra quasi che lo stia ignorando apposta! Tanto vale lasciarlo a casa… o da qualche parte qui vicino, tanto non passa mai nessuno.

Aspettò per qualche secondo una risposta ma poi, visto che tardava ad arrivare, con tono titubante chiese: -Allora… che ne dici? Ti andrebbe?

Silenzio.

-Se non ti va fa lo stesso, ma almeno rispondimi!

E fu a questo punto che Jack esplose.

-Ti interessa così tanto?! Cos’ha di così speciale?! Ma dai, aspetta, lo puoi scoprire anche da sola!

Detto questo lanciò lontano la marionetta, si alzò in fretta e furia, frugando involontariamente con gli occhi la zona circostante. Ma poi, vedendo Vì che si alzava, si incamminò a passo spedito verso il ciglio della strada, ignorando di nuovo i richiami, anche stavolta futili, che lo imploravano di fermarsi.

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Nel frattempo la ferita di M. si era quasi rimarginata, lasciandogli un gran prurito su tutto il palmo, alquanto fastidioso. In ogni caso, la benda se l’era finalmente levata, diceva di fare ancora fatica a chiudere la mano, ma probabilmente era solo l’ennesima esagerazione per guadagnare quel po’ di ammirazione tra i suoi compari che lo manteneva nella sua posizione di leader.

Ma insomma, niente di grave, niente di straordinario.

 

Vì raccolse il burattino adagiato nell’erba alta. Jack era da poco scomparso dalla sua vista, e certo, le dispiaceva, ma non riusciva nemmeno a capire il motivo di quella tragedia…. a volte le sembrava proprio strano. Inizialmente aveva pensato di mettersi a inseguirlo, come poco prima nel loro gioco, poi però realizzò che in fondo forse aveva solo bisogno di stare da solo per un po’: lei senza compagnia non riusciva a starci, ma lui era abituato, gli piaceva pure.

Tutto ad un tratto si rese conto di non volerla affatto quella marionetta. Le ricordava del loro litigio, in più era anche inquietante… sarebbe passata dalla strada di Jack e gliela  avrebbe buttata in casa da quella finestra vicino allo steccato, quella della cucina, che di giorno era sempre aperta. E poi non l’avrebbe toccata mai più, neanche con un bastone.

Tra le sue braccia se la sentiva nemica, ostile, tanto che iniziò anche lei a trascinarla come faceva spesso l’amico, velocizzando senza volere lo sgretolamento dei vivaci colori.

 

Lola trovò la finestra della cucina aperta, come ogni altro giorno, ma comunque tirando un sospiro di sollievo. Lasciò cadere all’interno della casa il suo zainetto, con la macchina usa-e-getta, poi scavalcò agilmente, producendo solo due tonfi ovattati.

Sembrava tutto normale, aveva sentito che la madre di Jack non solo non usciva mai in strada o in cortile, ma che restava quasi sempre chiusa nella sua camera, una vera fortuna. Lei non ci sarebbe mai riuscita.

Tirò fuori la sua macchinetta, ancora non vedeva niente di interessante, ma meglio essere sempre pronti. Si affacciò sul corridoio, indecisa sul da farsi. Ma in fondo ormai c’era dentro, perché esitare? Le bastava essere silenziosa.

Si avventurò appena più avanti, quel tanto che le bastava per accorgersi della scritta “Jack” sulla porta in fondo, di lettere adesive blu e verdi.

Allungò la mano, suo malgrado emozionata, avrebbe fatto il suo primo scatto proibito.

Abbassò la maniglia e… niente. Non c’era nulla di strano. Beh, la tapparella abbassata per metà non si spiegava, era ancora pomeriggio, però non era un gran segno.

Lasciò il suo sguardo spaziare sulla stanzetta, vicino alla finestra c’era una scrivania di legno chiaro con qualche quaderno, piccoli dinosauri in plastica, un barattolo di tempera nera, una raccolta di giochi per il Nintendo DS, con Mario Kart in bella vista, e altre cianfrusaglie. Poi sì, insomma, una camera normale, simile alla sua, il letto con la coperta con un pappagallo, un armadio di quelli con le persiane sulle ante, per terra la pista di un trenino completamente distrutta, lo zaino di scuola abbandonato in una angolo.

Un po’ le dispiaceva sprecare uno scatto per qualcosa di così ordinario, ma di certo non poteva andarsene a mani vuote. Avvicinò l’occhio all’obbiettivo e…

 

Vì era finalmente arrivata. Iniziava a provare un odio profondo contro quel misero pezzo di legno, sembrava la mettesse di malumore. Certo, non era possibile, ma non aveva voglia di pensarci, voleva solo tornarsene a casa. Chissà, magari Jack era già rientrato e la stava aspettando…  in quel caso sarebbe stata una lunga attesa.

Si specchiò in una pozzanghera sull’asfalto, i suoi grandi occhi verdi erano seri come li aveva visti poche volte, lo sguardo stanco e i capelli arruffati. Ma non voleva perdere tempo.

Prese il burattino per il torso e lo scagliò contro la finestra aperta. Cadde sul pavimento dopo una meravigliosa parabola a mezz’aria, con uno schiocco abbastanza rumoroso.

Finalmente alleggerita da quel peso che, per quanto infimo, sembrava quello di una grossa pietra, si voltò sulla strada di casa.

finestra

Lola restò come pietrificata. Uno schiocco? Un tonfo? Ma che cos’era stato?

Riabbassò le braccia, curiosa di affacciarsi alla porta ma allo stesso tempo angosciata. E poi clack! . La luce del corridoio si accese, proiettando un cono dorato sul pavimento di legno della camera. Con un balzo felino si precipitò all’armadio, aprì l’anta e si infilò all’interno, senza badare a cosa contenesse.

Era buio, lì dentro, e c’era pure poco spazio. Spostò un piede cercando di mettersi più comoda, ma invano. Dovette infatti soffocare un’imprecazione, per quel maledetto pezzetto di Lego che le aveva trafitto la pianta del piede.

Aggiustò l’inclinazione delle persiane, in modo che potesse sbirciare fuori ed entrasse un po’ di luce, poi, visto che non succedeva nulla, decise di girarsi per esaminare il resto del contenuto.

E una imprecazione le sfuggì davvero. Facce, facce di legno che la guardavano di traverso, accatastate sui ripiani, lisce e piatte, tutte uguali.

Se avesse potuto sarebbe schizzata fuori, fuori dall’armadio, dalla camera, dalla casa, e invece era bloccata lì dentro.

Si rigirò deglutendo, cercando di farsi coraggio:- Dai Lola, sono solo marionette, inutili fantocci inanimati. Che poi non sei mica a Derry, non sei nemmeno nel Maine!

Riuscì a tranquillizzarsi, ma solo per poco.

 

Dal Diario di Lola  

 

Quasi quindici anni fa mi trovavo chiusa in quell’armadio. Sebbene in quegli istanti non lo volessi ammettere, che alla fine è tornato anche utile, mantenni la calma, ero terrorizzata.

Ma peggiorò. Ricordo che ad un tratto sentii come un piccolo raschiare e un trascinarsi, e poi il rumore del legno che sbatte contro altro legno, ancora oggi mi dà incredibilmente fastidio. Sentivo che qualcosa si stava avvicinando, ogni secondo quel suono aumentava, involontariamente mi stavo mangiando le unghie.

E poi la vidi. L’ombra.

Si stagliava sulla parete opposta al punto in cui mi trovavo, ingigantita, scura, terribile.

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L’ombra avanzò, avanzò, fin quando anche il suo proprietario sbucò da dietro l’angolo.

Il burattino camminava, si trascinava, con le gambe mezze piegate, le braccia morte lungo i fianchi, il capo reclinato verso il basso, così che si vedeva solo il cappello cremisi.

Con le mani tremanti e il respiro pesante, Lola alzò la macchinetta. Click.

 

Anche la marionetta girò la testa. Lola non l’aveva mai vista così bene in faccia, prima non era nemmeno sicura che una faccia ce l’avesse. Doveva essere stata dipinta con un pennellino più piccolo, i tratti erano sottili ma marcati, replicavano alla perfezione il volto di un normale burattino di uno spettacolo per bambini, con gli occhi celesti, vividi.

 

Mi vide. O forse mi guardò proprio, osservandomi, chiusa in quel loculo. E iniziò ad avvicinarsi. Era dall’altro capo della stanza, avanzava adagio adagio, pensavo fosse lento, ma mi sbagliavo. Ora ripensandoci capisco che questo ritmo lo aveva adottato solo per farmi stare in pena, divorata dall’angoscia e dall’indecisione: scappare o aspettare?

 

Decise di restare: non poteva uscire. Ci sarebbe dovuta passare troppo vicino. Era piccolo, certo. Ma era un pezzo di legno che si muoveva. Decisamente più spaventoso di Pinocchio.

Le si inumidirono gli occhi. Ma anche quelle lacrime gelarono. Non doveva distogliere lo sguardo, assolutamente no. Ma sentì qualcosa che le tirava la felpa.

Lo ignorò, gli occhi spalancati. Poi lo risentì. E poi di nuovo, più forte. E poi sentì due mani lignee. Poi quattro, otto. E intanto quello con la casacca si avvicinava, se possibile ancora più piano.

Ed era ad un bivio, con solo due percorsi disponibili, e doveva scegliere prima che scadesse il tempo: i secondi sgocciolavano inesorabili, lentamente. Il tempo era un rubinetto difettoso, l’acqua si accumulava pian piano finché non diventava troppo pesante, e la goccia cadeva, giù nello scarico.

Ormai si divorava le mani, consumata dal terrore di girarsi e vedere ciò che la tirava e dall’ignoto. Voleva girarsi ma aveva paura di farlo. E cosa c’è di peggio?

 

Ma poi finalmente accadde qualcosa che mi sollevò dalla responsabilità di scegliere.

Jack entrò di corsa, gridando, quasi piangendo.

Le mani che cercavano di ghermirmi si ritrassero all’improvviso, il burattino si girò a guardarlo. Ci fu un attimo di silenzio.

Poi, come se stesse avanzando nelle sabbie mobili, Jack mosse qualche passo, allungò un braccio, per prendere la marionetta.

 

Lola pensava che la marionetta fosse lenta. Invece, poco prima del contatto con il bambino, scartò veloce a sinistra. Mandò Jack a sbattere contro il muro, spinto da una forza invisibile, poi lo sollevò verso l’alto, come se qualcuno avesse strattonato un filo. Lo lasciò ricadere.

Lui si rialzò, questa volta prese contro lo spigolo della scrivania. E poi ricadde ai piedi del letto. Sembrava che stesse soffocando, inchiodato al pavimento, ma poi di nuovo quel qualcosa allentò la presa. Continuò. Lola era disperata. Non sapeva cosa fare. Ora come ora le era rimasta solo un’opzione: scattare e scattare, finché anche lei non inceppò il tasto.

 

Dopo un periodo di tempo che non ricordo, probabilmente non mi sono nemmeno resa conto di quanto tempo stetti rinchiusa, il burattino si accasciò a terra, smettendo di muoversi.

In quel momento era più brutto che mai, lo smalto non uniforme, la posa scomposta.

Aspettai qualche secondo, per essere sicura che non si muovesse più, poi balzai fuori, spalancai la finestra e uscii, inciampando, la macchinetta nello zaino, che sobbalzava sulle mie spalle.

Non mi voltai. Filai dritta dritta a casa. E in quella strada non tornai più.

 

Se Lola si fosse girata, avrebbe visto la tenda della finestra scostata, e una marionetta che la osservava.

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Vì si infilò nel letto, ancora turbata dalle vicende del pomeriggio. Ma poi si addormentò, e fece bei sogni.

 

La mattina seguente la madre di Vì entrò nella camera della figlia. Era in ritardo per andare a scuola. Il letto era sfatto, le tende tirate, lo zaino sulla sedia. Non mancava niente. Però mancava qualcuno.

 

Un bambino biondo si presentò a scuola con una marionetta. Il lungo ciuffo non bastava per coprire i nuovi lividi e gli occhi gonfi di pianto. Ed evidentemente il suo giocattolo, con colori vivaci e lucidi, impeccabili, grandi occhi verdi e lunghi capelli castani, vestito con un pigiamino rosa, non bastava a confortarlo.

 

Un certo ragazzo, per combattere la noia, era andato davanti a scuola. Un perfido sorriso gli era comparso sul viso vedendo un bambino con un burattino piangere. La mano aveva smesso finalmente di prudergli, incredibile. Una goccia di sangue scivolò lungo l’indice, cadendo sull’asfalto.

 

Dal Diario di Lola

 

Sono passati quasi quindici anni, e ancora non riesco a dimenticare. Questa mattina finirò di scrivere, poi brinderò con un bicchiere di deliziosa candeggina, già pronto qui al mio fianco.

Forse, se da bambina fossi tornata in quella strada, se avessi accettato l’inspiegabile, ora non sarei qui. Gli adulti l’inspiegabile non lo sanno accettare. O dicono di accettarlo, mentendo. Forse l’inspiegabile non esiste, bisogna solo continuare a cercare di provarlo. Ma non so come continuare.

Vì non torno mai più a casa. Alcuni pensarono che fosse scappata, la verità è che semplicemente sparì nel nulla. Comparve un burattino che le somigliava, sparì quello con il tricorno e la casacca verde.

Io invece scappai veramente. E neanche io tornerò mai più.

Non so che fine abbia fatto Jack. Ogni notte ripensavo a ciò che succedeva, cercando anch’io di giustificare l’accaduto. Penso avesse un potere su quelle marionette. Ma che gli sfuggisse di mano, alternandosi da burattinaio a burattino.

Anche io mi alterno. Da artefice a vittima del mio destino.

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Beatrice de Waal- 2D (Parte 3 di 3)

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