Il Nobel figlio dei fiori

Giovedì 13 ottobre l’Accademia di Svezia prende una delle decisioni più discusse nella storia del Premio Nobel. La scelta di assegnare la celeberrima medaglia a Bob Dylan, simbolo della lotta per i diritti civili negli anni Sessanta, inevitabilmente finisce per sollevare un polverone. Stoccolma chiama, Dylan non risponde. Dopo svariati annunci e numerose mail a vuoto, la segreteria dell’Accademia decide di rinunciare all’arduo compito, lasciando tutto nelle mani del cantautore. Sul suo sito Dylan pubblica la citazione del Nobel, poi ci ripensa, fa un passo indietro, scatenando altre polemiche. Ma d’altronde si sa che una vera rockstar deve farsi aspettare. Insomma, ancora non si capisce se Bob Dylan si recherà il 10 Dicembre all’assegnazione del premio, che verrà consegnato direttamente dalle mani dal Re di Svezia Carlo XVI. Indignarsi per il suo comportamento significherebbe però non conoscere il cantautore americano, il quale non è certamente nuovo a scelte poco convenzionali: si è infatti deciso di premiare  colui che scrisse Ballad of a Thin Man, proprio contro i critici che volevano inserire la sua musica entro canoni prestabiliti.

A questo punto viene da chiedersi se la rockstar meritasse davvero di essere inserita nella Hall of Fame della letteratura mondiale. Non si può certamente negare lo spessore dei suoi testi, ma stiamo parlando di un premio che è stato vinto da gente come Hemingway, Montale, Neruda e Pirandello, solo per fare qualche nome. Quella dei giudici appare più che altro come una scelta nostalgica volta al tentativo di ritornare alla vivacità dei favolosi anni Sessanta, testimoni di una delle più grandi mobilitazioni politiche che la società moderna abbia mai conosciuto, della quale Bob Dylan è sicuramente uno dei protagonisti. I critici svedesi non hanno forse tutti i torti, visto il clima politico che stiamo vivendo negli ultimi anni. Ci troviamo di fronte all’ascesa del populismo, rappresentato in America da Trump, in mezzo a una rivoluzione malata che mette poveri contro poveri, sospinti dalla concezione egoistica che in un prossimo futuro si possa aprire anche per loro la strada che conduce alla tanto agognata ricchezza. Viviamo nell’epoca delle bugie e delle mezze verità, cause prossime della sfiducia nella politica, del languire della democrazia.

C’è chi dice che il Nobel porterà una scossa nell’industria musicale americana, altri sperano che possa svegliare una partecipazione che in molte persone si è assopita. Dylan negli anni Sessanta denunciava il disinteresse verso gli altri; oggi paradossalmente la maggiore consapevolezza, figlia della globalizzazione, di ciò che ci circonda ci ha portato a chiuderci ancora di più in noi stessi.

La soluzione, come dice il cantante americano, se la porta appresso il vento.

Zanichelli Jacopo

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