Un semplice uomo e non un eroe invincibile: ecco il vero volto del più famoso condottiero macedone della storia. Un uomo consumato dalle sue debolezze a dall’angoscia di non poter essere all’altezza del proprio mito. E’ questo il crudo, quanto realistico, ritratto d’Alessandro Magno tratteggiato da Quinto Curzio Rufo, storico romano dell’età alto imperiale, di cui non ci rimane che il resoconto, incompleto, dell’epopea alessandrina. Un unicum in tutta la storia della letteratura latina. Non tanto per il soggetto o lo stile, ma per la profondità e l’accuratezza dell’indagine psicologica con cui è indagato l’animo del Macedone.
L’anabasi di Alessandro Magno è metafora del progressivo allontanamento dell’uomo dalla ragione, l’inoltrarsi verso luoghi sempre più mitici e sempre meno reali, allegoria della follia umana e della brama di potere che logora l’uomo fino allo stremo.
Curzio ci mostra questo lato nascosto del condottiero che, sotto la maschera d’un ferreo raziocinio, cela la fragilità del suo essere fino all’inesorabile conclusione e alla caduta finale. La ritirata dall’India è la catabasi d’un esercito il cui comandante è schiacciato dall’impossibilità di comprendere il proprio fallimento: quello di essere semplicemente umano.