L’Infinito

Immagino di essere sulla collina di Trinità, immerso nel buio di una notte senza Luna, anche se l’alba si sta ormai avvicinando e presto i suoi raggi mi scalderanno il viso. Verso Nord le luci della città illuminano la pianura, mentre a Sud dominano il buio e il silenzio delle colline. Il cielo è solcato da un infinito numero di stelle che si stagliano sulla profondità dell’Universo, ordinate nel loro costante ed apparentemente immobile moto. Mentre cammino sul prato sento il fruscio delle cicale in mezzo ai fili d’erba, in fuga dai miei passi. 

Rivolgo il mio sguardo verso l’alto, verso la vastità del firmamento buio che all’orizzonte pare essere un tutt’uno con la terra, verso quei soli lontani e irraggiungibili che mi chiamano, verso le colorate nebulose e le rapide comete disciolte dal Sole, verso l’immensità del Cosmo. Ed è allora, mentre osservo lo spettacolo dell’esistenza che si compie, che percepisco l’infinito, la mia piccolezza ed insignificanza rispetto al resto. Non sento il dolore del collo teso o le carezze del vento sulla pelle, non odo le cicale canterine. Sono io e basta, solo davanti al tutto.

Ma la terra gira, le costellazioni ruotano sul loro asse spostandosi dalla mia visuale e i primi raggi cominciano a fare capolino dalla cresta in lontananza. Spero che la notte continui perpetua, che l’alba attenda ancora qualche istante per palesarsi. Ma la sublime  magia del momento è ormai rotta: le stelle cominciano a nascondersi e l’immensità è ormai velata. Il cielo si tinge di rosso e il Sole illumina il prato. La stanchezza della notte comincia ad assalirmi. E la vita riprende a scorrere nella sua monotonia.

 

Notari Federico, 5E

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