Scoppio. Silenzio. Morte.
Pianto. Passo. Respiro.
Questo è l’inizio del cammino di S., un giovane ragazzo pakistano che è stato costretto a lasciare il suo paese.
Ci troviamo in una zona di confine tra l’India e il Pakistan e il conflitto del Kashmir rende ogni giorno più incerta la vita dei suoi abitanti. La guerra è cominciata nel 1947 e, nel corso degli anni, numerosi sono stati gli attacchi dall’una e dall’altra parte per cercare di conquistare terre che i due stati, un tempo parte dello stesso grande paese, ritenevano di loro proprietà. Da quel momento, la vita degli abitanti di quelle terre è stata travolta da scontri incessanti e dalla presenza costante della morte.
S. ha 17 anni e le sue giornate sono scandite dai rumori della guerra: gli spari e le bombe sembrano essere il tic tac di un orologio mortale. Nonostante l’instabile situazione, un pomeriggio esce con i suoi amici: spera di trovare la tranquillità che merita un adolescente, ma quando torna a casa non c’è più niente ad aspettarlo. Una bomba è caduta sulla sua casa e non si è limitata a portargli via le mura di un luogo pieno di ricordi: infatti l’esplosione si è presa anche sua mamma e sua sorella.
S. si è sentito perso: il luogo in cui si trovava, oltre che a non essere più sicuro, lo teneva ancorato a tanto dolore.
“La casa è dove c’è la mamma e la mia mamma là non c’era più” , ha detto mentre ci raccontava la sua storia.
Così, con una bottiglia d’acqua nello zaino e molta paura, a 17 anni ha deciso di partire alla ricerca di un nuovo inizio, con tanta sofferenza nel cuore ed altrettanta determinazione davanti agli occhi.
È partito a piedi e ha cercato rifugio in Iran e in Turchia, trovando poca accoglienza, pochi diritti e tanta ingiustizia. Nei mesi che ha trascorso in quei luoghi ha visto più volte il carcere che la libertà: senza documenti non poteva circolare.
Lasciandosi alle spalle quelle brutte esperienze, a due anni dalla sua partenza, ricomincia il suo viaggio alla volta della Grecia, deciso nel trovare un luogo in cui potersi costruire un futuro. Arriva ad Atene e finalmente riesce a trovare rifugio, ma proprio quando tutto sembrava andare per il meglio le cose cambiano: dopo due anni di lavoro e tranquillità, S. è costretto di nuovo ad andarsene. Gli viene dato un massimo di 30 giorni per lasciare il paese perché non aveva i documenti necessari per poterci rimanere.
Ancora una volta è costretto a mettersi in viaggio e così, a piedi, si incammina verso la più grande sfida che tantissime persone intraprendono in cerca di salvezza: la “Rotta Balcanica”. La “Rotta Balcanica” è il percorso silenzioso e violento che permette di arrivare in Europa a migliaia di migranti: ogni anno, dall’Asia e dal Medio Oriente, tantissime persone mettono a rischio la loro vita nella speranza di trovare un luogo sicuro in cui stare. S. era uno di loro e per sei lunghi mesi ha tentato e ritentato di superare il confine tra la Bosnia Erzegovina e la Croazia. Il percorso consiste in un susseguirsi di controlli armati, divieti e blocchi in cui violenza e disumanità sono il pane quotidiano. È conosciuto come “The Game” ed è una combinazione, a volte letale: ha ostacoli fisico-geografici, violenze e abusi, che portano i più determinati a ripeterla più volte, nella speranza di superarlo. S. per cinque lunghi e freddi mesi si è trovato a rimbalzare avanti e indietro dalla Bosnia alla Croazia. Ha tentato The Game tre volte e alla seconda è stato privato di scarpe, cellulare e cibo.
Dopo settimane di digiuno e di stenti è arrivato a Trieste, in Italia. A Parma, grazie al CIAC (Centro Immigrazione Asilo e Cooperazione), è riuscito a trovare una casa, un lavoro e tanta solidarietà da parte dei volontari.
Molto spesso, il telegiornale mostra immagini di uomini e donne che, dopo lunghi e pericolosi viaggi via mare, giungono in Europa in condizioni estreme. Queste traversate, spesso infernali, sono il risultato di storie drammatiche che li spingono ad affrontare la distesa blu pur di fuggire da situazioni insostenibili. Le notizie che conosciamo meglio sono quelle che raccontano le rotte di migranti che passano per il Mediterraneo, ma è bene ricordare che, con non minori difficoltà e rischi, molte sono le persone che mettono in pericolo la propria vita affrontando questi lunghi percorsi a piedi.
Pensare che mentre noi viviamo tranquillamente le nostre vite migliaia di persone sono costrette a lasciare ciò che resta delle loro case, ad abbandonare le proprie abitudini e i propri affetti a causa di guerre, persecuzioni o situazioni di povertà estrema, mi fa provare una forte rabbia e un grande senso di impotenza.
L’esperienza di S. è solo una delle tante che ogni giorno si ripetono in diverse parti del mondo. Ascoltare il suo viaggio mi ha fatto riflettere su quanto spesso diamo per scontato la libertà, la sicurezza e l’amore di una famiglia. Mentre ci lamentiamo di piccole difficoltà quotidiane, ci sono ragazzi come lui che, a soli 17 anni, devono trovare la forza di sopravvivere alla perdita, alla solitudine e alla violenza. La sua storia mi ha fatto capire quanto sia urgente rimettere al centro dell’attenzione l’umanità e la vita delle persone, perché in fondo, nonostante i confini che ci separano, siamo tutti uomini e nessuno dovrebbe essere costretto a rischiare la vita per avere il diritto di viverla dignitosamente.
Sara faraboli 3E
foto da Romasette






