L’informazione in movimento

Siamo sicuri di raccontare correttamente l’immigrazione? Le nostre parole descrivono la realtà o solo ciò che vogliamo vedere? Per rispondere a queste domande, giovedì 4 Dicembre, il Bertolucci ha partecipato al convegno “L’Informazione in Movimento – raccontare il mondo attraverso la voce e le storie di rifugiati e migranti”, durante il quale sono intervenuti Paola Barretta, Luca Lòtano, Tana Anglana e Paule Roberta Yao.

Marcello Volta, moderatore del convegno, ha dato spazio a una breve introduzione da parte degli organizzatori, a cominciare dal Rettore dell’Università degli Studi di Parma, che ha espresso una riflessione su cosa sia la pace e sull’impegno delle Università nel campo dell’istruzione, che sta cambiando a causa dell’AI. A seguire è intervenuta l’assessora alla pace Jacopozzi, che ha rimarcato l’importanza di vivere in uno stesso mondo, senza frontiere. Dopo di che, Emilio Rossi ha introdotto le due associazioni di cui è presidente e ha raccontato della loro storia: la Casa della Pace, un insieme di 25 associazioni, fondata nel 2022 per operare con costanza sulla diffusione della pace, a causa di un aumento esponenziale delle guerra (85 dopo la Guerra Fredda, 186 ai giorni nostri); e CIAC, associazione che aiuta i rifugiati, nata in risposta alla guerra in Jugoslavia negli anni 90. Ha poi formulato una sua riflessione su quanto l’informazione sia eurocentrica, ometta i conflitti ed sia estremamente legata al potere (un vero e proprio neocolonialismo). Infine, Marco Deriu, docente di comunicazione e pubblicità sociale del corso di giornalismo dell’Università di Parma, ha spiegato l’importanza di capire cosa accade nel mondo e leggere i fatti, in quanto la narrazione di essi è, ormai, unilaterale. Inoltre, per quanto si parli spesso di immigrazione, i discorsi pubblici si limitano sempre a due tipi di narrazione: di odio o utilitaria e questa polarizzazione, ha sottolineato, non è reale democrazia.

Dopo questa introduzione, sono intervenuti diversi relatori con Paola Barretta, giornalista e portavoce di Carta di Roma. Si tratta di un’associazione nata nel 2008 per portare a una corretta narrazione dell’immigrazione; per farlo ha codificato dei principi legali (entrati nel codice Deontologico il 1 Gennaio di quest’anno), quali: usare termini di rispetto, evitare espressioni denigratorie e non svelare l’identità degli intervistati. Questa necessità nasce da diversi episodi accaduti nel 2008; in particolare, furono intervistate due rifugiati dall’Eritrea e le loro identità furono svelate, così i parenti di costoro furono imprigionati e torturati. In seguito, Barretta ha spiegato come si è evoluto il racconto dell’immigrazione e ha identificato tre fasi principali: una prima fase chiamata Mare Nostrum (2013-14), basata sulla esaltazione di chi si prodigava per l’accoglienza e il soccorso; una seconda fase di sfiducia sia verso i migranti sia verso chi li accoglie, caratterizzata dall’ #PortiChiusi (2017/21); infine una fase in cui si è parlato di immigrazione principalmente in relazione alla sicurezza e la solidarietà è diventata settoriale (2021/24). A oggi, invece, chi parla di migrazione usa un lessico di propaganda e denigratorio, certamente non sempre specchio della realtà. Inoltre, spesso si associa una determinata nazionalità all’idea di criminalità e si etnicizza la notizia, cioè ogniqualvolta a commettere un crimine è uno straniero vengono menzionate la sua nazionalità e provenienza, anche quando non necessario per la comprensione della notizia data. Ha concluso il suo discorso fornendo i nomi di una serie di testate da consultare per poter leggere una diversa narrazione: Dotz, Irpi media e Colory.

In seguito è intervenuta Tana Anglana, membro supplente del Consiglio Nazionale per la Cooperazione (CNCS), che ha parlato di comunicazione strategica. Ha spiegato come ora si faccia ricorso al rage bait, ovvero il tentativo di aumentare l’engagement attraverso meccanismi manipolatori: faccio in modo che la tua indignazione e la rabbia davanti ad una determinata notizia – o narrazione particolare di essa – possa tenerti incollato allo schermo. Per evitare di cadere vittime di questo tipo di manipolazione secondo Anglana ci sono tre fasi da seguire. Prima di tutto bisogna identificare il problema, ovvero il fatto che si va verso una sempre maggiore polarizzazione delle opinioni: la società viene divisa in fazioni (ad esempio no vax e pro vax), e ciò, oltre a limitare il dialogo, porta ad odio e violenza. In secondo luogo bisogna prestare attenzione ai meccanismi comunicativi; per esempio si deve evitare di comunicare con i soli dati (percentuali, numeri..) perché ciò alza dei muri con l’interlocutore, che si sente giudicato. Inoltre bisogna tenere presente che chi legge o ascolta una notizia ha già dei propri schemi mentali, basati spesso sulla paura. Molto importante è non contronarrare, ovvero non negare gli schemi mentali che vogliamo contrastare – divisori e manipolatori-, perché ciò li amplifica; piuttosto, la narrazione deve essere generativa, ovvero, chi scrive deve raccontare la propria storia, costruire una nuova narrazione che non neghi quella degli altri. Sempre per superare le divisioni che caratterizzano il mondo oggi, bisogna lavorare anche sull’Emotionally Smart Communication: una comunicazione che si concentra sui valori comuni a tutti più che su quello che ci divide. Infine, è necessario demolire il pietismo e la vittimizzazione nei confronti dei migranti che caratterizzano la narrazione oggi e che fanno sentire i migranti stessi subalterni a chi si occupa di loro. L’ultima fase è la più importante: bisogna cambiare le politiche. Infatti, l’informazione non è sufficiente, servono la presenza e l’immersione nelle storie dei migranti di chi è al potere.

Il terzo intervento è stato tenuto da Luca Lòtano, dottorando dell’università di Palermo. Ha presentato il laboratorio teatrale LEREM, un progetto basato sul plurilinguismo, ovvero sviluppato attraverso lingue e linguaggi differenti. L’obbiettivo di tale progetto era coinvolgere e collaborare con le diverse comunità e rendere fruibili per tutti gli spazi culturali, come i teatri. Lòtano ha terminato il suo discorso con la lettura dell’articolo “Giorno 16: i nostri rami toccheranno il Sole”, in cui una delle partecipanti al progetto ha descritto la sua esperienza

Oggi ci ha spiegato che nel giorno del picnic, ognuno di noi siederà nella -nostra zona- , vicino alle nostre impronte (il nostro pozzo). Avremo alcuni ospiti sconosciuti. Poi, nella nostra lingua madre, raconteremo: cosa abbiamo vissuto in questi quattro mesi di laboratorio teatrale? Cosa ci è successo? Dove ci siamo sentitə a nostro agio e dove abbiamo sofferto? Quali tempeste abbiamo attraversato? Quali punti oscuri abbiamo visto? Cosa abbiamo trovato? Cosa ci ha arricchito? O anche, cosa abbiamo perso?

L’idea è questa: cosa succede quando non capiamo una lingua? Come cerchiamo di capirci? Cosa troviamo in ciò che non capiamo?

Zara Kian

(articolo completo su: https://www.lerem.eu/2025/06/24/giorno-16-i-nostri-rami-toccheranno-il-sole)

Infine ha parlato Paule Roberta Iao, mediatrice culturale laureata in Lettere e rappresentante del progetto “Dimmi di Storie Migranti”. L’iniziativa, nata in Toscana nel 2012, permette a chi è migrato in Italia di raccontare la propria storia. Queste storie vengono poi raccolte e pubblicate dalla casa editrice “Terre di Mezzo”. La potenza di questa iniziativa è che da spazio, e non solo voce, a chi proviene da altri Paesi e, in questo modo, permette loro di emergere. Non si tratta di contronarrazione, ma di una narrazione generatrice, nata dal basso, che consente di contrastare la narrazione vittimistica, utilitaristica o di odio che solitamente si usa per parlare di immigrazione. A differenza del racconto mainstream, mette al centro lo sguardo di chi l’immigrazione l’ha affrontata realmente. Paule stessa ha partecipato al progetto, nel 2019. Migrante privilegiata, si è trasferita in Francia quando suo padre ha ottenuto una borsa di studio di pediatria, poi a Londra e, infine, in Italia. Non solo ha rovesciato la tradizionale narrazione della migrazione, ma ha dimostrato che attraversare tanti Paesi, interfacciarsi con diverse lingue e culture, le ha permesso di sapere di più di chi non ha mai lasciato casa sua e l’ha arricchita.

Dovere del giornalista è raccontare la realtà, ma “L’Informazione in Movimento” ci ha insegnato che questo mestiere è molto di più: è ascoltare, osare, andare contro la narrazione tradizionale e, talvolta, fornire spazio a chi, la propria storia, la deve raccontare da sé.

 

Elena Notari

Immagini: www.attivalamemoria.it

 

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