La calcolatrice: Alleata o Nemica? Oltre la “risposta giusta”

L’inizio del viaggio: la domanda intelligente

«Prof, perché non posso usare la calcolatrice?»

Se insegni matematica in un liceo scientifico nel 2025, questa domanda la senti spesso. Anche dai genitori. Talvolta anche da qualche collega.
La mia prima reazione, da studentessa di tanti anni fa, sarebbe stata di sbigottimento. Io, la calcolatrice, l’ho incontrata davvero solo in terza liceo; prima di allora, era un oggetto quasi mitologico. Il calcolo si faceva a mano, e basta.

Ma oggi, da docente in una scuola che fa dell’innovazione e delle metodologie attive il suo fiore all’occhiello (non a caso parte del movimento di Avanguardie Educative), so che questa non è la domanda pigra di uno studente che non vuole faticare. 

È una domanda legittima, profonda, che tocca il cuore del nostro mestiere: cosa significa “sapere la matematica”? Una domanda così intelligente merita una risposta accurata, non superficiale. Non si può liquidare con “perché no” o “perché sì”.

Come docente, ho imparato a distinguere due contesti fondamentali.
A volte, il calcolo è l’obiettivo: quando lavoriamo sull’aritmetica di base o sull’algebra, stiamo costruendo le fondamenta.
Altre volte, il calcolo è un “distrattore didattico”: quando affrontiamo un problema complesso, magari di fisica o analisi, e non vogliamo che l’inciampo su una moltiplicazione complessa distolga la mente dal pensiero critico e dalla strategia.

La gestione della calcolatrice si gioca tutta in questo equilibrio.

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Costruire il senso del numero

Prima di chiederci “calcolatrice sì o no”, dobbiamo chiederci: quali competenze stiamo costruendo?

C’è un universo di apprendimento che inizia molto prima del liceo, fin dai primi anni di vita, e che definisce il nostro senso del numero. Non si tratta solo di saper contare. Si tratta di:

  • Quantità e dimensione: Capire cosa significa “più” o “meno”, “tanto” o “poco”.
  • Stima e ordine di grandezza: Saper dire a colpo d’occhio se il risultato di 21×39 sarà più vicino a 80, 800 o 8000.
  • Struttura delle operazioni: Comprendere i logaritmi, ad esempio, presuppone una conoscenza molto profonda e radicata del concetto di potenza.
  • Concetto di operatore: Capire che “+2” o “×3” sono funzioni, trasformazioni che agiscono su un numero.

Queste competenze, che si formano fino ai 15/16 anni, costituiscono l’impalcatura del pensiero matematico. Senza questa impalcatura, i numeri sono solo simboli vuoti.

Storicamente, l’uomo ha sempre cercato strumenti per aiutare il calcolo. L’abaco non era solo una “calcolatrice antica”, ma uno strumento visuale potentissimo per capire il valore posizionale delle cifre. Allo stesso modo, la “Pascalina”, inventata da Blaise Pascal nel 1642 per aiutare il padre esattore, non sostituiva la comprensione delle somme, ma le velocizzava.
Il punto non è lo strumento, ma la comprensione che ci sta dietro.

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Perché il calcolo mentale (o a mano) è cruciale per la matematica

I motivi sono molteplici. Me ne vengono in mente alcuni in ordine sparso.

Sviluppa la flessibilità.
Ci sono molti modi per fare i conti. Ad esempio, per svolgere 25×12 potrei fare prima 25×10, poi 25×2 e sommarli. Oppure potrei fare 12×20, poi 12×5 e sommarli. Oppure potrei fare 25×4, scoprire che fa allegramente 100 e quindi moltiplicarlo per 3. Nella calcolatrice, dovrei solo digitare i valori e aspettare (millisecondi) la risposta. Nessuna strategia si attiverebbe nella mia mente. Nessuna ricerca di un modo più facile oppure più veloce. La ricerca di strategie efficaci, che poi struttura e potenzia le capacità intellettive, emerge solo davanti ad un problema o a una difficoltà e al desiderio di appianarla.

Rende reali le proprietà dei numeri.
Esse prendono vita quando le applichiamo a contesti concreti e smettono di essere solo parole in un libro di testo.

È la base portante del calcolo algebrico.
Il calcolo a mano è anche uno dei più grandi mattoni, anzi forse mattone+muratore contemporaneamente, per la costruzione del calcolo algebrico.
La proprietà distributiva, che vediamo applicata seriamente solo in contesti di calcolo più avanzati, è il motore che fa andare l’algebra, senza il quale la macchina poi va spinta a forza a prezzo di grandissima fatica.
L’algebra, infatti, non è l’aritmetica con le lettere, bensì un passaggio cognitivo fondamentale dal pensiero numerico-computazionale (fare i conti) al pensiero astratto-relazionale (come le cose stanno in relazione fra loro).
Di più.
Concetti come l’inversione, il bilanciamento, il completamento si radicano nel calcolo numerico – ad esempio quando devo fare 163-98, ma decido invece di togliere 100 e poi ridare il 2 che avevo tolto di troppo.

Se non mi dedico sistematicamente al calcolo, questi concetti di base faticheranno a formarsi. Ed essi sono mattoncini portanti del calcolo algebrico, il quale a propria volta supporta il pensiero funzionale ed il problem solving.

L’errore di banalizzazione è quello di pensare che si tratti di imparare tante cose a memoria, quando invece si tratta di potenziale la flessibilità e la ricerca sistematica di strategie sempre più efficaci.
Cercare modi per accelerare o diminuire il calcolo da svolgere non è per far prima, ma piuttosto per costruire l’abitudine a non fermarsi alla prima opzione, non bloccarsi davanti agli ostacoli, diventare sistematici e precisi, potenziare la flessibilità e la creatività – Sì la creatività, non mi sono sbagliata.
Il processo attraverso il quale uso la strategia imparata nel contesto A per risolvere un esercizio del contesto B che serve per descrivere il problema C è prima di tutto creativo. Molto prima creativo che utile.

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Quando la mente batte la macchina

Ci sono moltissime situazioni in cui “fare senza” non è un esercizio di stile, ma è semplicemente più efficiente e, a volte, necessario. Alcuni esempi, credo significativi, possono essere:

  • Velocità: Quanto fa 150×0.5? O 3000/100? O il 20% di 50? E il quadrato di 25? La mente che ha “senso del numero” impiega un secondo (capisce che 0.5 significa “la metà”, che /100 significa togliere due zeri, che 20% significa “un quinto”, alcune informazioni semplicemente sono nella memoria – come il quadrato di 25). Digitare sulla calcolatrice richiede più tempo.
  • Controllo e stima: Se sto progettando un esperimento e i miei calcoli preliminari (fatti a mente) mi danno un risultato atteso di 10, ma la calcolatrice mi restituisce 10.000, so immediatamente di aver commesso un errore (magari di digitazione, o di unità di misura). Chi si affida ciecamente alla macchina non ha questo campanello d’allarme.
  • Riconoscimento di pattern: Di fronte a un’espressione algebrica complessa, la calcolatrice è muta. È la mente allenata a “fare senza” che riconosce un prodotto notevole, un raccoglimento, una semplificazione che sblocca il problema.

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La doppia chiave: usare e NON usare con consapevolezza

Arriviamo al cuore del problema. La questione non è “sì” o “no”, ma “quando” e “perché”.

La formazione di uno studente (specialmente di un liceo scientifico) richiede due abilità complementari: 

  • saper fare a meno della calcolatrice quando l’obiettivo è costruire la competenza di calcolo, la fluidità algebrica, la flessibilità e il senso del numero; 
  • ma anche saper usare la calcolatrice in modo efficace e produttivo quando il calcolo è solo uno strumento per raggiungere un obiettivo più alto (risolvere un problema complesso, analizzare dati, modellizzare un fenomeno).

Anche l’Unione Matematica Italiana (UMI), nelle sue riflessioni sulla didattica, ha spesso sottolineato l’importanza di passare da un apprendimento mnemonico a uno basato sulle competenze. La competenza non è “saper fare il calcolo”, ma “sapere quando e perché farlo, e con quale strumento”.

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Conclusione: la scelta ragionata

Quindi, alla domanda “Prof, perché non posso usare la calcolatrice?”
Rispondo: “Perché l’allenamento del calcolo a mente o a mano è fondamentale, costruisce la vostra forma mentis, vi prepara alla matematica più avanzata e a diventare risolutori di problemi.”

La scelta di non usarla in determinati contesti non è pigrizia mentale da parte del docente, né un attaccamento nostalgico a una visione antiquata dell’apprendimento. Anzi, in una scuola come la nostra, che abbraccia il digitale e l’innovazione, questa scelta è ancora più forte.

È una scelta didattica ragionata e motivata. È la decisione consapevole di dedicare tempo alla costruzione della forma mentis, delle fondamenta solide su cui, domani, quegli stessi studenti costruiranno grattacieli usando strumenti digitali sofisticatissimi.

Ragazzi e ragazze, vogliamo preparare futuri ingegneri, medici, scienziati e cittadini consapevoli. Per farlo, non basta che sappiate premere i tasti giusti; dovrete sapere perché li state premendo.

Questa domanda è difficile perché presuppone tanti modi di affrontare la risposta, molti dei quali altrettanto intelligenti. Ma spero di aver mostrato che dietro il “no” (temporaneo) c’è un “sì” molto più grande: un “sì” al pensiero critico e alla competenza profonda.

 

Silvia Monica

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