“ Dal momento che l’essenza stessa dell’amicizia sta, per così dire, nella condizione che si formi quasi una sola anima da molte”
(“ut unus quasi animus fiat ex pluribus, qui id fieri poterit,si ne uno quidem quoque unus animus erit”, 92)
Con questa frase Marco Tullio Cicerone descrive l’amicizia, all’interno del suo trattato intitolato “De amicitia”. In quest’opera lo scrittore latino parla delle accortezze, delle idee e dei fondamenti per creare un sentimento sincero e profondo.
La prima volta che ho aperto il libro, ho passato le pagine per capire quante fossero e nel vedere il numero trentacinque mi sono consolata credendo sarebbe stata una lettura semplice e scorrevole. Tuttavia penso di non essermi mai sbagliata così tanto, eppure sono rimasta più colpita che da tanti libri che ho letto.
Cicerone nella prima pagina annuncia subito lo scopo del suo trattato: “conoscerai meglio te stesso” (quam legens te ipse cognosces), ma per farlo, vista la complessità dell’opera, ho creato uno stratagemma.
Ho immaginato nella mia mente un corridoio, lungo e bianco, sulle cui pareti si aprivano porte di misure e colori diversi ma dentro tutte c’era un insegnamento di Cicerone che aveva lo scopo di capire al meglio il sentimento dell’amicizia.
A destra c’era la prima porta blu ea farmela scegliere fra molte fu la sua incisione:
“Si stabilisca dunque come legge fondamentale dell’amicizia che vengano chieste agli amici cose oneste, che siano fatte a favore degli amici cose oneste”.
(Haec igitur prima lex amicitiae sancitur, ut ab amicis honesta petamus,44)
L’onestà, ecco uno dei pilastri fondamentali dell’amicizia. Secondo Cicerone si deve sempre agire con onestà affinché le nostre azioni siano giuste nei confronti dei nostri amici e non subdole o scorrette. Questo principio può sembrare scontato perché ci sembrerebbe quasi meschino fare qualcosa che crei danno a coloro a cui vogliamo bene eppure è da ribadire perchè può capitare per egoismo che, ad esempio, si rubi un’idea, perchè migliore della propria, di non restituire un oggetto prestato o di raccontare un segreto così da diventare più “importanti”, solo per ottenere l’attenzione di chi indossa una maschera sembrando migliore di ciò che è realmente.
L’importante è agire nel bene di chi ci è capace di farci sorridere e di starci accanto quando ne abbiamo bisogno.
Ricordato questo principio, chiusi questa porta dirigendomi verso una verde più piccola ma con sopra un quadrifoglio, simbolo della fortuna.
Aperta la porta trovai, sopra un leggio dorato, il Decameron, una nota opera di Giovanni Boccaccio, ma perché era lì? cosa c’entrava con la fortuna e soprattutto con Cicerone?
Boccaccio suddivide il Decameron in dieci giornate e dedica la seconda a “ coloro li quali, da diverse cose infestati, contro alla lor voglia pervennero a lieto fine”, un esempio chiaro di come la fortuna possa svoltare le situazioni al meglio, eppure Cicerone la vede contrariamente all’autore fiorentino.
La fortuna, per lui , è in grado di distruggere le amicizie poiché
“è cieca ma rende ciechi anche quelli che tocca”
( Non enim solum ipsa Fortuna caeca est, sed eos etiam plerumque efficit caecos, 54).
Cicerone crede che in questo modo anche gli amici che prima erano i più fidati possano finire, trasformati dalle sorti fortunate, nel disprezzare le amicizie di vecchia data. Secondo lui, infatti, l’amicizia è un sentimento dedicato e malleabile come un fiore che se trattato con disattenzione appassirà, ma se coltivato con cura splenderà, rafforzandosi nelle avversità.
Uscii e per ultima, tra tutte le porte, scelsi una delle ultime, nera, la più vicina al portone centrale nel corridoio, che aveva sulla maniglia un cuore spezzato con sopra inciso “fine”.
Fino ad ora Cicerone ha spiegato i pilastri principali dell’amicizia lasciando per ultimo, quello che a me ha colpito di più: l’importanza di saper riconoscere quando interrompere un’amicizia che trasforma noi stessi nella versione peggiore di noi.
Cicerone sottolinea però che è importante
“scucirle non strapparle” (“discendae magis quam discindendae”,76).
Spesso si fa fatica ad abbandonare un’amicizia per noi importante, eppure è fondamentale riconoscere che se ci sono cambiamenti di abitudini o interessi o divergenze, bisogna lasciarla andare, scucendola piano, così che faccia male il giusto e non si trasformi in un’inimicizia
Chiudendo questa porta, mi sono trovata davanti al portone centrale, che non aveva un colore, o una scritta, solo foto mie e con i miei amici con al centro una mia foto, da sola.Non capì subito perché fosse lì ma guardando le altre fu chiaro: il rapporto che ho creato con i miei amici inizia da me, dalla mia crescita personale, dovuta sia ad amicizie oneste sia dannose, ma tutte utili. Chiudendo la porta dietro di me finii il viaggio che cominciai leggendo la prima pagina del libro, apprendendo però la convinzione che l’amicizia è difficile, complicata e fragile ma è forse uno dei beni più preziosi che possiamo donarci.
Valentina Vitiello 4E
Capitoli scelti con traduzione:
- capitolo 8, 44:
Latino:
Haec igitur prima lex amicitiae sanciatur, ut ab amicis
honesta petamus, amicorum causa honesta faciamus, ne exspectemus quidem, dum rogemur, studium semper adsit, cunctatio absit, consilium vero dare audeamus libere. Plurimum in amicitia amicorum bene suadentium valeatauctoritas, eaque et adhibeatur ad monendum non modo
aperte, sed etiam acriter, si res postulabit, et adhibitae pareatur.
Italiano:
Dunque questa sia la prima legge dell’amicizia: che dagli amici chiediamo cose onorevoli, e per gli amici facciamo cose onorevoli; non aspettiamo nemmeno di essere pregati, che l’impegno sia sempre presente, che l’esitazione sia assente, e che osiamo dare liberamente consigli. Grandissima forza abbia nell’amicizia l’autorità di coloro che danno buoni consigli agli amici, e che questa sia usata per ammonire non solo apertamente, ma anche severamente, se la situazione lo richiederà, e che a questa, una volta usata, si obbedisca.
- capitolo 15, 54:
Latino:
Quamquam mihi, illa su- perbia et importunitate si quemquam amicum habere potuit. Atque ut huius, quem dixi, mores veros amicos parare non potuerunt, sic multorum opes praepotentium exclu- dunt amicitias fideles. Non enim solum ipsa Fortuna caeca est, sed eos etiam plerumque efficit caecos, quos complexa est; itaque efferuntur fere fastidio et contumacia, nec quidquam insipientem fortunato intolerabilius fieri potest. Atque hoc quidem videre licet, eos, qui antea commodis fuerint moribus, imperio, potestate, prosperis rebus immu- tari, sperni ab iis veteres amicitias, indulgeri novis.
Italiano:
Anche se, con quella sua superbia e arroganza, [mi chiedo] se abbia potuto avere qualche amico. E come i costumi di costui, di cui ho parlato, non hanno potuto procurargli veri amici, così le ricchezze di molti potenti escludono amicizie fedeli. Infatti non solo la Fortuna stessa è cieca, ma rende ciechi quasi sempre anche coloro che ha abbracciato; e così [essi] si gonfiano quasi sempre di superbia e arrozia, né nulla può diventare più intollerabile di uno stolto fortunato. E si può certamente vedere questo, che coloro che prima erano di costumi affabili, con il potere, la potenza, le circostanze favorevoli sono mutati, e disprezzano le vecchie amicizie, e indulgono a nuove.
- capitolo 21, 76/77
Latino:
Est etiam quaedam calamitas in amicitiis dimittendis non numquam necessaria: iam enim a sapientium familiaritasbus ad vulgares amicitias oratio nostra delabitur. Erupiunt saepe vita amicorum tum in ipsos amicos, tum in alienos,quorum tamen ad amicos redundat infamia. Tales igitur amicitias sunt remissuone usus eluendae et, ut Catonem dicere audivi, dissuendae magis quam discindendae, nisi quaedam admodum intolerabilis iniuria exarserit, ut nequerectum neque honestum sit nec fieri possit, ut non stainalienatio distinctioque faciunda sit. (77) Sin autem au-morum aut studiorum commutatio quaedam, ut fieri solet,facta erit aut in rei publicae partibus dissensio intercesserit– loquor enim iam, ut paulo ante dixi, non de sapientium,sed de communibus amicitias –,cavendum erit ne non solum amicitiae depositae, sed etiam inimicitiae susceptae videantur; nihil enim est turpius quam cum eo bellum gerere, quocum familiariter vixeris.
Italino:
C’è anche una certa sventura, talvolta necessaria nel rompere le amicizie: infatti la nostra trattazione sta scivolando dalle amicizie dei saggi alle amicizie comuni. Spesso la vita degli amici prorompe a danno degli amici stessi, o a danno di estranei, la cui infamia tuttavia ricade sugli amici. Tali amicizie dunque devono essere sciolte con gradualità e, come ho sentito dire a Catone, più che stroncate, allentate, a meno che non sia insorta una qualche offesa assolutamente intollerabile, in modo che non sia né giusto né onorevole, né sia possibile che non si debba subito operare un allontanamento e una distinzione. (77) Se poi sarà avvenuto un qualche cambiamento di costumi o di interessi, come di solito accade, o sarà intervenuto un dissenso nelle questioni politiche – parlo infatti ora, come ho detto poco fa, non delle amicizie dei saggi, ma di quelle comuni –, bisognerà fare attenzione a che non sembrino solo abbandonate le amicizie, ma anche intraprese inimicizie; niente infatti è più turpe che far guerra a colui con cui si è vissuto familiarmente.
foto: ansa.it






