Ogni anno l’annuncio del Premio Nobel per la Pace non è solo il riconoscimento di un individuo, ma un messaggio lanciato al mondo. Il 2025 non ha fatto eccezione: l’assegnazione a María Corina Machado, l’oppositrice del regime venezuelano di Nicolás Maduro, ha dato finalmente voce alla situazione sulla crisi democratica in America Latina. Oltre ad essere una delle poche donne latinoamericane ad aver vinto il premio Nobel, Machado è stata inoltre inserita nella lista dei vincitori del premio per aver promulgato la democrazia sotto un regime autoritario, insieme a figure storiche come Nelson Mandela.
Attivista venezuelana per i diritti umani e fondatrice del partito “Vente Venezuela”, è stata premiata dal comitato norvegese per “il suo instancabile lavoro nella promozione dei diritti democratici del popolo venezuelano e per la sua lotta a raggiungere una transizione giusta e pacifica dalla dittatura alla democrazia”. Nonostante sia costretta a vivere in clandestinità e sia oggetto di gravi minacce alla sua vita, è rimasta nel suo Paese, una scelta che ha ispirato milioni di persone e che ha permesso l’unione dell’opposizione venezuelana, spesso molto divisa.
Il premio quindi non è stato assegnato al presidente degli Stati Uniti, e ciò ha lasciato perplessi molti dei suoi sostenitori che speravano, o addirittura credevano, nella sua premiazione.
“Se le armi finalmente taceranno, il presidente Donald Trump merita davvero il Premio Nobel per la Pace”, ha scritto Matteo Salvini su X, esprimendo un’idea condivisa anche da altri leader internazionali come Antonio Tajani o addirittura dallo stesso Benjamin Netanyahu.
Trump infatti, che già da tempo mirava al Nobel, si definisce l’unico uomo ad essere stato in grado di “fermare” ben sette guerre negli ultimi mesi. Tuttavia, le sue dichiarazioni sembrano essere controverse: sebbene abbia davvero firmato accordi temporanei o parziali nei diversi conflitti, contando anche il suo primo mandato, la maggior parte di essi non ha portato a reali conclusioni, come ad esempio in Ucraina, o come tra Etiopia ed Egitto, dove non è seguito alcun accordo.
Ma quindi davvero il presidente Trump avrebbe potuto vincere il premio? O meglio, davvero se lo sarebbe meritato?
Mentre da una parte si può apprezzare il suo sforzo per fare da paciere tra conflitti internazionali, dall’altra non si può dire altrettanto dello stile politico divisivo e di molte delle misure adottate sul piano interno agli Stati Uniti; le deportazioni di migranti, il dispiegamento dell’esercito nelle città governate dei democratici e le politiche discriminatorie che si spingono fino alla revoca di tutele federali per le minoranze non lo rendono un candidato credibile. Donald Trump, postosi al mondo come l’uomo che ha portato la pace in Palestina, è lo stesso che fino a pochi mesi fa inviava milioni di armi ad Israele, usate proprio per un conflitto che ha causato gravissime perdite alle persone che ritiene di aver salvato.
Il 13 ottobre durante il discorso alla Knesset, parlamento israeliano, Trump ha affermato: “Bibi mi chiamava così tante volte: puoi procurarmi quest’arma, quell’arma, e altre di cui non avevo mai sentito parlare. Israele sapeva come usarle bene“. Una frase agghiacciante se pensiamo a tutta la distruzione e al massacro che quelle armi hanno causato ai palestinesi. Impensabile pertanto affidare il premio al presidente statunitense, scelta che avrebbe creato non poche critiche agli organizzatori del premio.
Tornando alla nostra Machado, però, nemmeno lei si colloca come un personaggio privo di ombre e scelte inquietanti: diventata volto della destra radicale venezuelana e di fatto golpista, in diverse occasioni ha richiesto l’intervento degli Stati Uniti contro il suo Paese, proclamando l’uso della pressione estera al fine di sovvertire l’ordine statale con l’uso della violenza. Nel 2018 arrivò persino a richiedere a Benjamin Netanyahu, al tempo primo ministro israeliano, un intervento di “forza e influenza” contro il suo Paese, in modo da contrastare il governo di Maduro, attuale presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela. Come se non bastasse l’attivista venezuelana ha anche sostenuto apertamente l’uso di sanzioni economiche a discapito del suo governo, senza pensare ai riscontri negativi e disastrosi che queste hanno portato alla popolazione civile, fino al 2024 in cui si è aperta un’indagine contro di lei da parte del governo per “tradimento alla Patria” e “Cospirazione con Paesi stranieri”.
È cruciale che il Comitato norvegese per il Nobel scelga figure di virtù incontestabile, la cui vita e opera rappresentino un faro per la giustizia e la pace nel mondo. Il Premio Nobel per la Pace incarna la speranza della nostra società: deve saper onorare coloro che lottano coerentemente per ciò che è giusto, spesso affrontando difficoltà e rischi enormi, e non premiare individui con un passato ambiguo, che un giorno promuovono la guerra e l’altro la pace. Solo riconoscendo veri operatori di pace, il Nobel potrà continuare a ispirare l’umanità a perseguire un futuro di giustizia e rispetto per la vita di ogni cittadino.
Veronica Panziroli 4^E
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