Seneca: un’eredità senza tempo – Gentilezza e dignità

“Portrait of Georgia O’Keeffe, Hands” (1919) – Alfred Stieglitz

“Sono schiavi.” No, sono uomini.

“Sono schiavi”. No, vivono nella tua stessa casa.

“Sono schiavi”. No, umili amici.”

Lettera a Lucilio 47, 3-5

Nella Lettera 47, Seneca ci invita a guardare oltre le apparenze sociali: la ripetizione insistente di “Sono schiavi. No, sono uomini. Sono schiavi. No, vivono nella tua stessa casa. Sono schiavi. No, umili amici” diventa un esercizio di dialogo interiore gentile e consapevole.

Ogni negazione serve a correggere un pregiudizio automatico, a insegnarci a parlare con cura dentro di noi. Non si tratta solo di etica verso gli altri, ma di trasformare il nostro animo, educandolo a rispettare la dignità universale. Seneca mostra che la gentilezza nasce prima di tutto dal riconoscere il valore dell’altro come ci riconosciamo noi stessi: se il nostro pensiero interno riduce qualcuno a “schiavo”, anche la nostra voce interiore si annebbia e diventa dura, ingiusta. L’esercizio di correggere la prima impressione con verità e rispetto diventa così una pratica di autoeducazione morale. Il filosofo ci invita a un ascolto attento dei nostri giudizi, alla disciplina dell’animo che non si lascia ingannare da ruoli sociali o abitudini mentali, ma che esercita benevolenza e rispetto. In questo senso, il dialogo interiore è un atto di gentilezza, perché educa l’animo a vedere ogni essere umano come un compagno di vita, degno di considerazione e attenzione.

5E: Nicolò Zanrè, Leonardo Allegri

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