Il mostro nello specchio

Durante l’assemblea d’Istituto del 25 gennaio 2023 abbiamo parlato di DCA, disturbi del comportamento alimentare, con  la fondatrice di Animenta, Aurora Caporossi.

La fondazione nasce con l’intenzione di aiutare tutti i ragazzi, le ragazze e gli adulti che stanno affrontando questi disturbi, dinamiche dolorose in cui il cibo diventa il loro più acerrimo nemico e lo specchio il cattivo delle favole.

Aurora ci ha spiegato che i Social media vanno a costituire un terreno fertile per le malattie alimentari: tutto ciò che incontriamo e vediamo su internet ha un importante impatto su di noi, sia positivo che negativo, e ci può influenzare. Talvolta vanno a peggiorare la situazione, come nel caso di account che danno false informazioni e spacciano assurde diete. Infatti,  come ben si sa, i social sono un campo pericoloso, dove tutti si prendono la libertà di commentare e dire la loro opinione su di noi, sul nostro aspetto e sul nostro corpo, senza nemmeno sapere cosa stia davvero succedendo, oppure ci propongono foto ritoccate in maniera assurda e ci invitano a fare altrettanto. O ancora ci propongono un solo modello estetico: magro, molto magro.

I disturbi alimentari sono patologie che si possono riscontrare su chiunque, anche se è usuale pensare che possano riguardare solo ragazze giovani. Ma tocca anche i ragazzi che sono indotti a pensare che più si è muscolosi e magri, più si verrà accettati dalle persone e dalla società; nel caso degli adulti, invece, molti sostengono che sia troppo tardi per intervenire, se soffri da tanto tempo di questa malattia. Ma non siamo mai la nostra malattia. E si può sempre chiedere aiuto.

Nella società di oggi il corpo ha un ruolo centrale e spesso per questo si ricevono commenti e critiche da parte degli altri: “Sei ingrassato di qualche chilo?”, oppure: “Ti vedo più magra del solito, stai davvero bene così”. Ci costringono  a pensare che essere magri equivalga ad essere belli; ciò va ad innescare un circolo negativo, “più sono magra/o, più sarò considerata/o bella/o dalle persone”. Il corpo è diventato qualcosa da mostrare che rientri negli standard impossibili di bellezza imposti dalla società.

Nei primi tempi i disturbi alimentari viaggiano “a pari passo” con il nostro io. Ci si sente a proprio agio, potenti del controllo che esercitiamo su di noi; ma il cibo e il corpo sono il mezzo con cui esprimiamo il nostro dolore emotivo e mentale, è come una tela su cui dipingiamo le sofferenze che ci invadono la mente, un taccuino su cui scriviamo poesie e pensieri malinconici e dolorosi.

Quando ci si trova in una circostanza del genere diventa difficile chiedere soccorso alle persone che ci stanno attorno, amici e famigliari. Aurora lo descrive come uno stato di apnea, sott’acqua, lontani da tutto e tutti. I nostri conoscenti tentano in tutti i modi di aiutarci, di comprendere cosa ci sta succedendo, di farci capire che sono lì  per noi, ma tutto ciò è inutile, perché noi siamo sommersi dall’acqua e non riusciamo nemmeno a sentirle queste voci che cercano di trasmetterci supporto e pensiamo, dunque, di essere soli ad affrontare la situazione, che nessuno si sia accorto che qualcosa non va, che a nessuno importi veramente.

Cosa possiamo fare noi, se conosciamo qualcuno che soffre di questi disturbi? Evitare sempre commenti di natura estetica, non sappiamo cosa sta passando quella persona, o come funzionano i suoi processi fisiologici per cui potremmo vederla più in carne o meno; smettere di fare complimenti legati al peso, ma soffermarsi su altri aspetti se vogliamo veramente dirle il nostro apprezzamento: il suo carattere, qualcosa di bello che ha fatto per noi, come ci fa sentire. Non giudicare mai, ma farle capire che ci siamo. É necessario che amici e famigliari non si arrendano al comportamento distaccato e scontroso della persona che è afflitta da questi disturbi, che continuino a tentare di offrirle il loro aiuto e, un giorno, arriverà una mano che convincerà questa persona ad uscire dall’acqua e a ritornare finalmente alla superficie e, piano piano, riuscirà ad amare sé stessa, a riprendere confidenza con il cibo e con quel tanto odiato specchio, riuscirà a ritornare finalmente a riva.

Veronica Panziroli 1E

 

 

Durante l’assemblea di mercoledì 25 gennaio abbiamo avuto la possibilità di riflettere sui disturbi alimentari e sull’importanza del nostro rapporto con il cibo, con gli altri e con noi stessi.
Nella società odierna, un ruolo importantissimo è costituito dall’immagine e dalla ricerca della perfezione.
Sono nati degli standard ritenuti giusti e delle caratteristiche considerate sbagliate o brutte, si sono create aspettative e invidie, paure e insicurezze. Tutto ciò è causato dal fatto che, ad oggi, è presente un’idea di corpo corretto e di corpo « sbagliato».

Centinaia sono i giovani che soffrono emotivamente e fisicamente perché il loro corpo non rientra nei canoni di bellezza definiti silenziosamente da pubblicità, modelle o attrici particolarmente in voga in questo momento.
Così facendo, si è iniziato a considerare lo strumento che ci permette di compiere tutte le attività, di vivere e di distinguerci, come un oggetto della quale vergognarsi o da mettere in risalto. Siamo nell’epoca in cui il pensiero comune si riassume in: magrezza=bellezza+felicità e, proprio per questo stereotipo, sono molti i ragazzi e le ragazze che si ritrovano ancora più a disagio all’interno del loro corpo.

Durante l’adolescenza il nostro fisico cambia, e inizia il percorso per diventare quello che sarà quando saremo adulti.
I cambiamenti, le forme che si accentuano e i corpi che diventano sempre più unici e differenti. I disturbi alimentari nascono soprattutto in questo momento, in cui non ci sentiamo molto a nostro agio con noi stessi, in cui facciamo fatica a riconoscerci dentro al corpo in cui ci troviamo e in cui, spesso, invidiamo o desideriamo il fisico altrui.
Proprio da quest’ultimo punto (l’invidia e il desiderio), unito al pensiero comune della magrezza come standard perfetto e alla paura di non essere accettati o di venire giudicati, si insinuano nella mente di ciascuno. Insicurezze e visioni distorte della realtà.

Una delle parole che più mi ha fatto riflettere, è stato l’aggettivo “ornamento“, posto a fianco al nome corpo.
Ciò, mi ha fatto rendere conto del livello di importanza che diamo all’apparenza, all’estetica. Di quanto l’opinione comune influenzi le scelte e i voleri di ognuno di noi, della grande paura del non essere accettati, che ci incatena la mente e che guida le decisioni che prendiamo.
Mi sono resa conto che tutto ciò che facciamo, gira intorno, ed è limitato, dalla paura e dall’insicurezza e, che ciò, porta al desiderio e alla necessità di essere sempre perfetti.
La società moderna ci spinge, anche attraverso ai social, a credere che ci sia una fisicità più corretta delle altre, ma non è così!

Non nego di essere succube anche io di tutte queste sottomissioni e blocchi, ma per quanto mi sia complicato apprezzare il mio corpo, credo che tutti i fisici siano belli a modo proprio e che vadano valorizzati e amati così come sono. Non esiste un corpo sbagliato, brutto, bello o corretto. Certo, ognuno di noi desidererebbe cambiare qualcosa e migliorarla, ed è giusto mettersi in gioco per sentirsi meglio con se stessi e piacersi, ma penso non sia corretto cercare di cambiare, costantemente, cosa fisicamente siamo, per rincorrere un ideale o provare a soddisfare uno standard comune.
I vestiti passano, le mode cambiano, ma il corpo che ci è dato è uno solo. Perciò credo che ognuno di noi dovrebbe dare meno importanza al giudizio comune sull’estetica, in quanto costituito da un’opinione soggettiva.
Concentriamoci, invece, sull’essere e sul diventare Chi desideriamo, su ciò che c’è dentro alle persone intorno a noi e su ciò che davvero ha importanza.
– Sara Faraboli-

 

 

Foto di Jonathan Franchi

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