Maura Gancitano, autrice di “Specchio delle mie brame” ha proprio ragione: la bellezza è una prigione, e la società stessa ci porta a questa ( forse) incurabile malattia, il sentirsi sempre giudicate, in difetto.
Da secoli il mondo è alla costante ricerca del Bello: filosofi, pittori, poeti si sono incessantemente chiesti cosa fosse. La bellezza ha da sempre avuto proprietà magnetiche che attirano l’uomo: con l’avvento della società di massa e della pubblicità è diventata di primaria importanza; basti pensare agli esteti che fecero, come D’Annunzio, del culto della bellezza la loro ragione di vita (perdendosi in frivolezze). In verità, come affermava Umberto Eco: “ciò che è ritenuto bello dipende dall’epoca e dalle culture“ e, per questo, con il tempo la bellezza è passato da essere una riflessione generale a essere quasi esclusivamente un discorso sul corpo femminile.
Io in prima persona mi sono trovata nel vortice di questa situazione: di questi tempi una ragazza che ha accesso a tutti i social media, che sta iniziando a conoscere il proprio corpo, si trova davanti standard di bellezza improponibili, tutti le dicono cosa fare del proprio corpo e lei si ammala di questo morbo incurabile.
Si ammala senza sapere che spesso le foto che vede sono ritoccate, che quello che osserva è considerato bello ma non è reale. Hegel identificava la bellezza con la verità, ma guardando la società odierna mi viene da pensare: “Hegel si sbagliava?“
A una giovane donna viene piazzato davanti uno specchio sul quale si poserà costantemente il suo sguardo – autocriticandosi – ma anche lo sguardo di tutto il mondo, delle altre donne, che forse per insoddisfazione la giudicheranno, un po’ come le donne nella famosa novella della Matrona di Efeso di Petronio: prima ammirata per la sua pudicizia, poi criticata per lo stesso motivo.
E ancora: su quella giovane donna si poserà anche lo sguardo maschile che, come dice Gancitano, è il filtro con cui viene codificata la realtà. La pubblicità, l’opinione pubblica, tutto si basa sullo sguardo maschile, in quanto pieno di potere.
Questa “malattia della bellezza” è come un ergastolo e, avanzando con l’età, non migliora, anzi: inizia la nostalgia del passato, la ricerca della bellezza e della giovinezza eterne, proprio come fa Dorian Gray nel romanzo di Oscar Wilde. Egli infatti, come incantato dalle parole sulla giovinezza di un suo amico e tentatore, è disposto a perdere la sua anima pur di rimanere sempre giovane e bello. E così molte donne.
Spesso, dall’interno di questa prigione, mi chiedo come sia possibile uscirne. Molte persone ritengono che per liberarsi basti semplicemente smettere di cercare il Bello. Secondo me il nostro destino è invece segnato: come diceva Nietzsche, Giove diede all’uomo il peggiore dei mali, la speranza. Saremo dunque alla costante ricerca di un’uscita da questa prigione, un’uscita che però non esiste. A parer mio bisogna semplicemente imparare a guardarsi dentro prima che allo specchio e dare un nuovo significato a questo termine: bellezza.
Greta Cattani 5E