La barriera corallina: c’è speranza di salvarla?

La barriera corallina non è solo costituita da quei bellissimi coralli che possiamo vedere all’Acquario di Genova, non è nemmeno solo pesci coloratissimi e tropicali che fanno tanto film Disney.  La barriera corallina è una formazione tipica dei mari e oceani tropicali, un vero insieme di vivo e non vivo, di acqua e terra, animali e vegetali. Sul fondale di oceani e mari appunto si accumulano nel corso dei millenni rocce, sedimenti, coralli e animali delle specie più disparate, aree che si estendono per migliaia di chilometri e che pullulano di vita. Vere oasi marine.

Ma c’è di più, perché proprio questi coralli sono per noi degli ottimi indicatori della “salute” di oceani e mari, in quanto sono molto sensibili alle variazioni di temperatura e alle sostanze disciolte nell’acqua, tra cui la terribile CO2.

La più grande barriera corallina si trova in Australia e  ha un percorso di 3.000 km. La barriera ospita oltre 1.600 specie di pesci, 411 specie di coralli duri e 150 specie di coralli morbidi, più di 30 specie di balene e delfini e sei delle sette specie di tartarughe marine viventi al mondo, insomma un vero giardino dell’Eden (sott’acqua).

Negli ultimi decenni, però, l’incremento del livello dei mari, della CO2 disciolta e della temperatura media degli oceani, hanno contribuito notevolmente alla velocizzazione di un processo chiamato sbiancamento (coral bleaching), durante il quale dapprima i coralli muoiono (infatti sono molto sensibili alle temperature) e poi si sbiancano a causa dell’acidità delle acque (che nasce dalla CO2 disciolta) creando distese enormi di coralli morti e gravissimi danni all’ecosistema marino.

a destra un sub intento a trapiantare coralli sul fondale (©www.green.it).

Fu l’Unesco ad accorgersi del rischio e a chiedere al governo australiano di curare meglio la qualità delle acque che vengono scaricate e di valutare le emissioni inquinanti; ma la distruzione della barriera era già in corso dal 1995 e da allora è morto il 50% dei coralli nell’arco di circa 25 anni.

La soluzione? Certamente il contenimento del livello dei mari e della temperatura degli oceani, insieme con l’attenuazione delle emissioni in atmosfera. Ormai da anni si è trovata anche una nuova tecnica: alcuni scienziati hanno iniziato a “trapiantare” coralli su reti posizionate sui fondali, favorendo così la ricrescita naturale degli stessi che iniziano, seppur molto lentamente, a ripopolare le zone nei quali l’impatto dello sbiancamento è stato notevole. Inoltre, negli ultimi anni, si è iniziato a trapiantare dei coralli geneticamente modificati: in sostanza ibridi che resistono alle variazioni di temperatura e che, quindi, sono meno suscettibili.

Nonostante tutta la tecnologia e le conoscenze che stiamo mettendo in campo, anche che se il riscaldamento globale venisse limitato a 1,5 ° C rispetto ai livelli preindustriali, le previsioni dicono che quasi tutte le barrieruenze, visto che i coralli sono conse coralline esistenti subiranno perdite significative e gravi saranno le consegiderati indicatori chiave dello stato degli ecosistemi oceanici. Ci svelano una verità  drammatica, forse irrisolvibile e di cui, come spesso accade, ci accorgeremo quando sarà troppo tardi.

Fonte: https://www.lifegate.it/strategie-salvataggio-grande-barriera-corallina

Pietro Palmia Delsoldato 3F

In copertina: un corallo sbiancato contrapposto ad uno sano (©www.blueplanethearth.it);

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