Questa storia parla di Tullio, un etrusco detto il Guercio a causa del suo occhio sinistro mancante.
Tullio era un uomo forte, sui 35 anni ma molto in forma ed uno strano e speciale senso dell’intuito. Tullio viveva a Talamone, aveva una famiglia bellissima ed era un marinaio, ma questo non potrebbe interessarvi. Quello che conta è che aveva una nave, fantastica per i suoi tempi, di manifattura greca, che aveva molto spazio per le merci. Tullio era anche devoto al dio Maris, Nettuno per i romani, e credeva che fosse ricambiato dal dio: infatti non era mai stato seriamente in pericolo, tranne che nel momento che sto per raccontarvi.
In quegli anni, gli etruschi stavano vedendo nascere una nuova civiltà: Roma. Tullio in quegli anni era davvero sulla cresta dell’onda, grazie anche al fatto che fu uno dei primi a commerciare con Roma.
Poteva permettersi altre navi ed altro equipaggio, ma a lui bastava l’equipaggio con cui era partito la prima volta e la sua nave, la Eleison.Al momento era in mare, con la stiva piena di cedro e pece dalla grecia verso Roma. Il viaggio fu tranquillo, arrivarono a Roma dalla Magna Grecia in tre giorni: il vento era a favore e quindi ci misero poco.
Arrivati a Roma, il suo intuito gli disse che c’era qualcosa che non andava: la città aveva un’aria tetra, molti più soldati giravano per le strade e per le mura, ed i soliti cordiali mercanti che lo aiutavano a scaricare le merci ora erano due colossi, messi lì probabilmente per il carico.
Allora Tullio decise di seguirli, di nascosto.
“È Arrivata la merce che ci serve?” Sentì Tullio in lontananza:” Sì, pece e cedro, di ottima qualità, dalla Grecia” rispose un’altra voce, più melliflua:” Le navi tra quanto saranno pronte?” “Signore, ci vorranno mesi prima che siano pronte tutte!” “ Non mi importa quando! basta che siano pronte. E i carri con la pece?” “ Ah, per quelli ci vorrà molto meno: credo che dovremo iniziare ad assaltare gli Etruschi dalla terra.” “ Bene, allora inizieremo da Cerveteri,Veio ed infine tutta l’etruria!”
A queste parole, il cuore di Tullio fece un salto mortale:invadere l’Etruria! Dopo tutti gli aiuti che avevano dato ai Romani, loro volevano invaderli!
Tullio stava per andarsene quando le due voci ricominciarono:” Quindi, quando vuole pronto il tutto?” “Tra due mesi voglio vedere tutti i carri pronti e quasi tutte le navi in mare.” “Ma signore, non credo ce la faremo.” “Non credi?! Metti tutti i lavoratori del legno, perfino i più semplici falegnami, al lavoro e costruisci quelle navi e quei carri!” “ Sì, signore” e le voci si allontanarono.
Tullio, mentre tornava di corsa alla nave, iniziò a pensare:” Devo avvertire subito le città: dovrò andare da tutti i governatori per riuscire ad unire le città contro Roma!”
E così salpò, avvisò la sua famiglia e si diresse in tutte le città etrusche: da Chieti a Piacenza, passando per la dodecapoli ed ancora più a nord, fino a Mantova e Felsina, cercando di convincerli dell’attacco imminente.
Solo poche città gli credettero: Veio, Cerveteri, Talamone e Tarquinia: città potenti, sì, ma Tullio non credeva sarebbero bastate.
Passarono così due mesi, e per la prima volta nella storia più di due città etrusche si allearono seriamente contro un nemico comune, ma la mente di Tullio era tartassata da un dilemma: aveva ormai capito cosa servisse il cedro: aveva letto nella Magna Grecia di un popolo antico che usava il legno di cedro per le navi ed era arrivato ad uno sviluppo incredibile, ma non aveva ancora capito la pece. Alcuni la usavano per ricoprire le navi e renderle impermeabili, ma perché costruire carri apposta per trasportarla?
Così arrivò il giorno: l’esercito etrusco si radunò fuori da Cerveteri, dove adesso sarebbe Aranova, e sulla costa c’era la flotta, comandata dalla Eleison.
A quel punto dalla foce del Tevere uscirono cinquanta navi, armate di tutto punto, e da terra altrettanti carri pieni di pece; Tullio a proposito aveva brutti presentimenti: gli etruschi erano in leggera superiorità numerica a terra, ma pensava che quei carri avrebbero cambiato le sorti della battaglia.
E aveva ragione: la pece era bollente ed appena gli etruschi partirono all’attacco, i romani rovesciarono i contenitori della pece sui soldati che stramazzano al suolo urlanti.
Appena sentì le urla, Tullio capì che non avevano speranza: si ricordò che un giorno, tanto tempo addietro, un suo amico aruspice, Astragante, gli aveva raccontato che fu predetta la fine degli etruschi, ottocento anni dopo la predizione: Tullio fece il calcolo e, da quello che aveva studiato e che gli avevano raccontato, quello era l’ottavo secolo della storia etrusca, e raramente gli aruspici sbagliano.
Così Tullio ed altre navi che non erano partite alla carica insieme alla fanteria, cercarono di scappare in mare: solo la Eleison riuscì a distanziare le navi nemiche a causa della sua velocità.
Le navi romane persero traccia della Eleison dalle parti di Cuma, così Tullio, l’equipaggio e la sua famiglia cercarono ospitalità presso la Magna Grecia, ma i coloni li cacciarono a causa di quel che dicevano: loro non sapevano di Roma. Allora la Eleison si diresse verso l’Adriatico: su, a nord, c’era un popolo che viveva in una laguna e nei territori circostanti: i veneti. Lì Tullio si insediò, convivendo con i veneti e diventando uno di loro.
Passarono gli anni, la famiglia di Tullio si allargò e molti membri della famiglia persero un occhio: chi accidentalmente, chi perché non ci vedeva bene; così si fecero chiamare Guerci.
Rimasero per molto tempo mercanti di Venezia, poi spostarono i loro interessi a Ravenna, rimanendo lì per un po’. Ad un certo punto la famiglia si divise: un ceppo andò in Sicilia ed un altro, invece, andò a Genova ma non si stanziò lì: andò nell’entroterra e rimase in una nuova città chiamata Parma. E questa è la storia del mio più antico antenato: Tullio.
Diego Guerci