La festa delle donne non è soltanto la giornata delle mimose, o quella in cui bisogna fingersi galanti per poi tornare a discriminare il sesso femminile. Al contrario, l’8 marzo è la giornata che dà voce e forza alle donne, per ricordar loro che non sono sole, non solo oggi, ma tutti i giorni dell’anno, e agli uomini che “donna” non è sinonimo di “inferiorità”. Perciò, in questo momento di pandemia, è importante ascoltare ciò che si nasconde nella testa e nel cuore delle donne che, pur non amando i riflettori, sono le vere protagoniste: dottoresse, infermiere e operatrici sanitarie che lavorano all’ospedale di Parma.
Quale ruolo svolge all’interno dell’ospedale?
“Sono un medico e faccio parte di un’equipe Multidisciplinare in un reparto di Medicina Interna. Per 15 anni ho lavorato come Medico di Pronto Soccorso” Patricia Granauro.
“Sono infermiera” Pierangela Peracchi.
“Sono coordinatrice infermieristica” Paola Valenti.
“Sono un’operatrice socio-sanitaria e lavoro al Pronto Soccorso di Parma da 11 anni. Prima lavoravo nel sociale a Langhirano, con i malati terminali.” Anna Giusy Serrano.
“In ospedale sono dirigente medico a tempo indeterminato con abilità di “esperta”, cioè ho il posto pubblico finché campo! Come piaceva a Checco Zalone.” Francesca Cobianchi.
“Sono un dirigente medico del reparto di neurologia all’interno dell’azienda ospedaliera universitaria di Parma.” Lucia Zinno.
“Sono infermiera nel reparto di Neurologia.” Natascha Perrotti.
“Sono un’operatrice-socio-sanitaria.” Ivana Perna.
Per quale motivo ha scelto di orientare la sua carriera verso l’ambito medico-sanitario? Se potesse tornare indietro nel tempo, rifarebbe questa scelta?
“Ho scelto di fare infermieristica perché mi è sempre piaciuto l’ambito sanitario. Se tornassi indietro lo rifarei cento volte. I tre anni di università a Modena sono stati impegnativi, ma questo non deve spaventare, perché l’impegno ripaga sempre.” Natascha P.
“Desideravo fare il medico sin dall’età di 6 anni, probabilmente per una mia predisposizione nel capire la gente, avere contatti con essa e cercare di volerla aiutare. Se tornassi indietro rifarei la stessa scelta.” Lucia Z.
“Ho scelto di fare medicina perché ero interessata a conoscere il favoloso funzionamento del corpo umano ed ero ispirata da un grande desiderio di essere di aiuto agli altri, nell’aspetto della salute fisica più che psichica. Sceglierei nuovamente di fare il medico sia dal punto di vista morale sia per la personale predisposizione, anche se in questi ultimi anni l’organizzazione della sanità italiana è peggiorata molto.” Francesca C.
“Non c’è un motivo in particolare per cui ho deciso di intraprendere questa strada: è stato tutto naturale e spontaneo, come se fosse già stato scritto nel mio destino. Se tornassi indietro rifarei tutto nello stesso modo, senza cambiare una virgola. Come definirei la mia scelta di vita? Una vocazione!” Anna Giusy S.
“Ho sempre voluto essere infermiera, aiutare gli altri. Probabilmente tornassi indietro rimarrei nel campo sanitario, ma non infermiera” Paola V.
“Da piccola avevo solo un sogno: diventare dottore. Rifarei questa scelta mille volte, anche se ho dovuto fare tanti sacrifici e rinunce.” Patricia G.
Da quanto tempo lavora nell’ambito ospedaliero?
“Il mio primo vero tirocinio in reparto ospedaliero è stato nel 1993 e da allora sono sempre stata in corsia. Mentre il primo lavoro da strutturata è stato nel 2002, dopo la specializzazione.” Patricia G.
“Lavoro nell’ambito ospedaliero da 15 anni.” Ivana P.
“Lavoro in ospedale dal 2017, prima in una Neuroriabilitazione a Correggio e da 2 anni a Parma.” Natascha P.
“30 anni” Pierangela P.
“Dal ’99 lavoro in ambito medico all’interno dell’ospedale.” Lucia Z.
“Ho frequentato assiduamente come borsista la specialità in chirurgia dal 1992 al 1997, giorni e notti, feriali e festivi. Successivamente ho passato 3 anni come libera professionista e infine dipendente pubblica dal 2001 ad ora.” Francesca C.
“Lavoro da quasi 30 anni” Paola V.
È mai stata considerata, da qualche collega o paziente, inferiore o meno capace rispetto ad un suo collega uomo?
“Il percorso non è stato facile, anzi in questi anni le difficoltà sono state tante, ma non sono mai stata considerata meno capace rispetto a un collega uomo, né, tanto meno, quest’ultimo si è mai permesso di trattarmi con inferiorità. Sicuramente in altri lavori il divario tra uomo e donna c’è, ma nel nostro, dove si ha a che fare con dolore e sofferenza, non è assolutamente tangibile. Non posso negare che ci siano stati fanfaroni, che hanno provato a spaventarci o sminuirci, perché donne, ma noi siamo abbastanza forti e determinate da rimetterli immediatamente al loro posto.” Anna Giusy S.
“Dai pazienti siamo costantemente considerate inferiori ai colleghi uomini. Basta affermare che, quando si entra in una stanza di un paziente con specializzandi maschi, i primi si rivolgono ad essi chiamandoli dottori, mentre a noi chiamano signora o signorina. Quindi il paziente ha ancora l’idea stereotipata che il medico sia l’uomo nella maggioranza dei casi. Per quanto riguarda discriminazioni da parte dei colleghi non mi è mai capitato in modo particolare.” Lucia Z.
“Non sono mancate battute e proposte discriminatorie nel corso della specialità, ma negli anni ‘90 non ci si faceva caso.” Francesca C.
“Purtroppo le donne non sono mai chiamate per il loro titolo, ma con la classifica di genere, signorina o signora; all’inizio della mia carriera ero molto arrabbiata, ma con il tempo, ho capito che è molto difficile essere donna, sempre, scontrarsi con la cultura non porta a niente. Credo invece che si debba dimostrare sul campo quello che si vale, come tutti, senza creare ulteriore motivo di scontro. Volere essere all’altezza del compito è per me anche questo, anche se le donne devono sempre dimostrare il doppio.” Patricia G.
Durante questo periodo di pandemia ha mai pensato di tirarsi indietro, di non essere all’altezza?
“La pandemia mi ha colpito per l’immensa solitudine che ha prodotto e produce: i pazienti non possono vedere i loro familiari, ma sono con noi ed è nostro dovere cercare di farli sentire meglio.” Patricia G.
“Un anno fa ci faceva molta più paura di ora, indossavamo le mascherine strette sul volto, ci facevano male. Non andavamo in bagno per l’intero turno, né si mangiava o beveva. Avevamo tutti paura, ci sentivamo impotenti. Spesso piangevamo a fine turno. Tuttavia, non ho mai pensato di tirarmi indietro.” Paola V.
“Durante questo periodo di pandemia non ho mai pensato di tirarmi indietro. In questo tempo così difficile, i pazienti hanno ancora più bisogno della nostra presenza, del nostro sorriso e del nostro sostegno emotivo. Sono spaventati, soli, il nostro lavoro diventa per loro fondamentale. Sicuramente, all’inizio, non mi sono sentita all’altezza: era davvero difficile ed esasperante. Ma nonostante le difficoltà, ogni giorno che entro in reparto e guardo il viso, gli occhi dei pazienti, ritrovo la motivazione e la spinta giusta per superare i miei limiti e le mie paure.” Ivana P.
“Non nego che in un primo momento ero molto spaventata, soprattutto perché la pandemia non ci ha dato il tempo di prepararci psicologicamente. Ho avuto la fortuna di avere un team di colleghi e una Coordinatrice eccellenti, per cui in quel periodo ci siamo fatti forza a vicenda. Abbiamo cercato di fronteggiare le difficoltà insieme, supportandoci sempre.” Natascha P.
“Non ho mai pensato di tirarmi indietro. Tuttavia ho provato sentimenti di impotenza assistenziale nei confronti dei malati e stanchezza psico-fisica. Ad esempio, al pronto soccorso una notte assistevo 32 pazienti covid con due infermiere e una oss.” Francesca C.
“Mai pensato anzi rifarei tutto e so di aver dato il massimo che potevo” Pierangela P.
Qual è la soddisfazione più grande, legata al suo lavoro, che porta nel cuore?
“A me bastano un sorriso e uno sguardo sincero: mi aiutano a fare sempre meglio.” Patricia G.
“Probabilmente è stata proprio l’esperienza del covid. Dura, come essere in guerra, ma mi ha unito tanto al mio personale. Li ho apprezzati molto.” Paola V.
“La soddisfazione e la gioia più grande che porto nel cuore legata al mio lavoro è il sorriso che riesco ad ottenere dal paziente, nonostante la sua malattia e sofferenza!” Ivana P.
“Lavoro in pronto soccorso e dunque la maggiore soddisfazione per me è capire velocemente qual è il problema del paziente, con l’aiuto dei colleghi radiologi e specialisti.” Francesca C.
“Ciò che più mi riempie il cuore sono i ringraziamenti delle persone che sono stata in grado di guarire. Inoltre porto con me anche gli sguardi delle persone per le quali non è stato possibile fare niente.” Lucia Z.
Un messaggio che vorrebbe trasmettere a chi non si trova “in prima linea”?
“In questo anno siamo stati etichettati come eroi, come attori sotto le luci della ribalta, ma non è così: tutti siamo protagonisti; tutti, nel nostro piccolo, possiamo fornire un contributo per risolvere il difficile mosaico di questa pandemia. Siamo parte della stessa squadra.” Anna Giusy S.
“Non sono un extraterrestre e non sono un’eroina, sono una persona normale con una famiglia e problemi da affrontare, come tutti. Chiedo solo rispetto e fiducia.” Patricia G.
“Siate solidali sempre.” Pierangela P.
“Alle persone che non sono in prima linea vorrei dire che ciò che sta accadendo è molto serio: in tanti sono morti, anche se tante vite si sarebbero potute salvare. È davvero richiesto impegno da parte di tutti. Non ne possiamo più di vedere gente senza mascherina, accalcati per strade e nei bar, incuranti della situazione.” Lucia Z.
Un messaggio che vorrebbe trasmettere ai suoi colleghi?
“Grazie. Non basteranno mai i grazie per la dedizione e la passione che mettete nello svolgere il vostro lavoro. Chissà prima o poi riceveremo il giusto riconoscimento sociale. Inoltre, vorrei ringraziare i miei infermieri. Ci hanno trasferiti in blocco in un reparto covid e, personalmente, affrontare con loro questa drammatica avventura è stato un onore: ho conosciuto la loro generosità, dedizione, il loro senso del dovere. Sono davvero persone splendide e sono fortunata ad avere un gruppo così. Grazie.” Paola V.
“Ai miei colleghi, due messaggi: Grazie, grazie di cuore per la costanza, la forza, la determinazione, che abbiamo dimostrato in questo lunghissimo anno; Ragazzi, continuiamo così: imperterriti come un caterpillar, perché, prima o poi, vedremo la luce in fondo al tunnel.” Anna Giusy S.
“Il rispetto tra professionisti è il cardine di una professione di questo tipo: infonde fiducia anche nei pazienti.” Patricia G.
“Ai colleghi, soprattutto i più giovani, vorrei trasmettere due messaggi. Il primo è mettersi nei panni dei pazienti, che vanno costantemente ascoltati. Il secondo è mantenere un atteggiamento umile, perché anche nel nostro mestiere si commettono errori, e sbagliare con umiltà pesa sicuramente meno che sbagliare con saccenza.” Lucia Z.
“Coraggio ragazzi! La forza e l’unione che abbiamo ricevuto da questa esperienza, ci sosterranno per affrontare insieme ogni altro ostacolo!” Ivana P.
Alessia Naso e Alessandro Galloni