Il 7 ottobre 2020 la Royal Swedish Academy of Sciences ha assegnato il Premio Nobel per la Chimica 2020 a due scienziate, Jennifer Doudna, chimica statunitense e Emanuelle Charpentier, biochimica e genetista francese, per aver scoperto e sviluppato il metodo di editing genomico denominato Crispr-Cas9.
Si legge nella motivazione: “La scoperta ha portato nuove opportunità per il miglioramento genetico delle piante, sta contribuendo a terapie antitumorali innovative e può realizzare il sogno di curare le malattie ereditarie”.
Ma come funziona questo metodo conosciuto anche con il nome di “forbici genetiche”? Per capirlo dobbiamo fare un brevissimo ripasso di biologia. Il DNA è presente nel nucleo delle cellule e contiene le istruzioni per la gestione delle attività cellulari sotto forma di sequenze di basi azotate, chiamate geni. Se la sequenza di un gene non è corretta, la proteina sintetizzata a partire dalle istruzioni contenute in quel gene non funzionerà nel modo atteso, con possibili conseguenze sulla salute dell’organismo. Il sistema Crispr-Cas9 è in grado di tagliare il DNA in punti precisi, in modo da eliminare il gene difettoso oppure rimuoverlo sostituendolo con la sequenza corretta. Crispr è un segmento di RNA che viene prodotto artificialmente e che funziona da guida, in quanto viene costruito in modo che sia complementare al tratto di DNA che si vuole andare a colpire. Agganciato a Crispr c’è la proteina Cas9 che è in grado di tagliare la sequenza di DNA desiderata. A questo punto si può sostituire il gene con quello sano.
Anche se molto recente, questa tecnica, scoperta solo otto anni fa, sembra dare risultati promettenti nel trattamento delle leucemie e di alcuni tipi di cecità. Il tema è talmente di attualità che anche Netflix ha prodotto una serie sull’editing genomico. Si tratta di “Selezione innaturale”, una serie di episodi che descrivono alcune possibili applicazioni di questa tecnica: c’è chi vuole correggere le malattie genetiche dei cani per ottenere la razza perfetta; chi vuole sfruttare la capacità dei pesci zebra di far ricrescere parti del proprio corpo, per ricreare arti amputati o addirittura organi vitali; chi, invece, lo vuole utilizzare per modificare esseri viventi già presenti in natura, in modo che svolgano compiti in favore dell’eliminazione di altre specie viventi (come ratti modificati in grado di mangiare insetti distruttivi per piante e animali).
Come si può intuire, se da una parte l’idea di avere la possibilità di ridurre col tempo la presenza di tumori o malattie genetiche sia sicuramente allettante, la possibilità di modificare un intero organismo, comporterebbe la creazione di veri e propri “mutanti”, dando origine a dilemmi di tipo etico.
Si darebbe inizio ad un processo evolutivo della specie umana in contrasto con il ciclo vitale dettato dalla natura. Cambiare il genoma di un organismo, introdurlo nell’ecosistema odierno al fine di farlo accoppiare con gli altri individui modificando per sempre quella specie, si o no?
E poi, non ci sarebbe forse il rischio di tentare di creare l’individuo perfetto? Se non è considerato immorale portare un paio di occhiali che permettano di vedere come tutti vedono, il problema nasce se qualcuno ha la possibilità di indossare un binocolo nella sua retina per vedere meglio di come vedono tutti. Questo non creerebbe forse ulteriori disuguaglianze?
D’altra parte però, è necessario che gli scienziati continuino e vengano sostenuti nelle loro ricerche. Ricordiamo ad esempio che la tecnica Crispr-Cas9 è stata di recente utilizzata per cercare di costruire test diagnostici rapidi e affidabili per la ricerca del Coronoavirus e anche per la realizzazione di possibili farmaci. Quindi, concludendo con un paragone informatico, oggi un l’uomo che programma è anche in grado di hackerare, ma è questo un motivo valido per non insegnare a programmare?
Giulia e Tommaso 5E