La proposta del ritorno della Didattica a distanza per le scuole superiori, notizia rimbalzata ieri sera sui media e i social, genera in me un profondo sconforto. Ma come? Siamo alla quarta settimana e già gettiamo la spugna?
La mia scuola superiore, (il liceo Bertolucci, come molte altre) si è attivata fin dall’estate per essere a norma: percorsi di entrata e uscita, igienizzazione e sanificazione costante, distanziamento dei banchi singoli. A settembre abbiamo aperto e ci siamo messi subito a lavorare su un aspetto trascurato dai giornali e dai media negli oziosi dibattiti estivi dedicati ai banchi a rotelle: la progettazione didattica. Abbiamo stilato il Piano per la Didattica Digitale Integrata che mira al potenziamento reciproco di didattica a distanza e didattica in presenza, in modo che le due modalità possano armonizzarsi tra loro. Proprio in questi giorni abbiamo attivato una decina di momenti formativi in modo da rendere ogni docente in grado di gestire gli strumenti essenziali per la didattica a distanza (G.Suite, Classroom, Meet e molti altri).
Durante questo lavoro di progettazione abbiamo ipotizzato i più svariati scenari, per rispondere a tutte le sfide, o almeno provarci: il docente è in aula e la classe in quarantena, parte della classe in quarantena, la classe in aula e il docente in quarantena precauzionale (e quindi in grado di fare lezione). Per alleggerire comunque l’affollamento a scuola e il peso sui trasporti abbiamo progettato un giorno di didattica a distanza settimanale (a rotazione) per le classi del triennio.
Dunque? I ragazzi rispettano le norme, se necessario sono state comminate note disciplinari e ammonizioni, ma devo dire che nella mia scuola mi sento molto più sicura che in un supermercato o in un bar. Siamo una comunità di persone che cercano di tutelarsi a vicenda. Abbiamo avuto alcuni casi covid gestiti in collaborazione con l’Ausl che ha potuto constatare che tutte le normative erano state rispettate nel migliore dei modi.
Per questi motivi mi chiedo da dove nasca la proposta di chiudere le scuole superiori.
Semmai, al limite, chiudiamo le scuole (di ogni ordine e grado) che non sono in grado di garantire il rispetto delle norme e la sicurezza di studenti e personale, valutando caso per caso.
Le motivazioni – per cui qualcuno ipotizza di chiudere – potrebbero essere queste. La prima riguarda i trasporti: gli studenti delle superiori viaggiano su autobus e mezzi spesso sovraffollati perché sul tema dei trasporti si è fatto poco nonostante l’allarme di molti esperti. La seconda è relativa al fatto molto banale che se uno studente delle superiori sta a casa da solo, è autonomo e non va a compromettere la presenza al lavoro di mamma e papà.
Purtroppo non si tiene conto che lasciare a casa un ragazzo significa privarlo delle frequentazione di un ambiente sicuro, protetto e volto a motivarlo e sostenerlo nell’apprendimento. L’isolamento sociale è un problema emergente, ci ricorda il nostro psicologo scolastico e molti studi sul tema. La solitudine davanti agli schermi (chat, Netflix, giochi online….) può compromettere il corretto sviluppo di relazioni sane. Nessuno tiene conto di questo?
A casa lo studente in difficoltà sarà più solo con le sue difficoltà, lo studente demotivato sarà solo davanti al problema della sua demotivazione. Per quanto fatta con ingegno, fantasia e professionalità la Didattica a Distanza non può sostituire una comunità educante, il confronto con i pari, il confronto con gli adulti. Per fare un bambino serve un intero villaggio, recita un proverbio africano. Parafrasando direi: “Per fare uno studente serve un’intera comunità scolastica”.
Prof. ssa Francesca Pelosi