Intervista a Miriam di “Odi Profanum Vulgus”: il mondo classico è vicinissimo

Emozionante, evocativo, avvolgente: sono queste le tre parole con cui Miriam D’Aurelio descrive il mondo classico, il mondo che studia dagli anni del liceo e che non ha mai smesso di catturare la sua attenzione.

Miriam ha frequentato il liceo classico e si è laureata in lettere antiche a Parma; con le sue qualifiche non insegna, non è una storica e neanche una scrittrice:  cura una pagina Facebook chiamata “Odi profanum vulgus”, con più di 39 mila iscritti. In realtà un po’ storica lo è, non di quelle che lo fanno per lavoro, ma di quelle che lo fanno per piacere, per rievocare quel mondo lontano ma vicino.

Durante l’intervista, parlando della vicinanza alla classicità, Miriam mette a confronto gli uomini romani con gli uomini di oggi, arrivando alla conclusione che, nonostante i secoli, non siamo poi cambiati molto… Lo fa raccontando l’aneddoto della zuffa a Pompei del 59 d.C., riportata da Tacito, secondo la quale vi furono scontri tra Pompeiani e Nocerini a seguito di uno spettacolo, non molto differenti dagli scontri tra tifoserie o schieramenti politici.

Miriam è una storica anche quando prima di pubblicare un contenuto si accerta di conoscerne l’ubicazione e la data di produzione esatte o quando sceglie come nome per la sua pagina “Odi profanum vulgus”, cioè “Odio il volgo profano”, espressione che Orazio usa per criticare il popolo gretto e senza arte.

“Quando ho aperto la pagina ne volevo fare una raccolta personale di bellezze classiche, bellezze che avevo trascurato dopo gli studi. Poi ho iniziato a pubblicare contenuti ricevendo riscontri positivi: tanti mi contattano chiedendo precisazioni e curiosità. Il giorno in cui ho pubblicato il primo post sulle latrine di Ostia non pensavo che, dopo due anni, la pagina avrebbe catturato così tante attenzioni.”whatsapp-image-2019-09-28-at-07-16-14

Ma perché tutte questo interesse per l’antichità? Miriam precisa che questo mondo richiede particolare attenzione sia per le sue mille sfaccettature, profondità e attualità, che per tutto quello che ne si può trarre: da quell’arte (scritta o manuale che sia) non si impara solo la data di pubblicazioni delle Odi di Virgilio, ma soprattutto si impara a conoscere l’uomo, quello che ha creato, quello che è stato quel mondo e quello che è il mondo attuale di riflesso.

Chiedendole se ha opere o periodi storici favoriti, nonostante emergano alcune preferenze (la Grecia democratica e il Partenone), sostiene l’idea che il mondo classico in sé ha tanto da insegnare e  tanta bellezza da conservare, in parte ancora nascosta. E cita il prof. Galiano:

“Ma prof, a cosa serve studiare ‘sta roba ( la letteratura)?”

No, la letteratura non “serve” a niente. Non serve perché non è lì per servire a qualcosa. È come un quadro, una scultura, un paesaggio, un albero, una montagna, una musica. La letteratura non serve. La letteratura fa.
Ti cambia il modo di vedere le cose. Ti fa pensare i pensieri di un altro.
Ti fa vedere cose che non vedevi, e ti fa guardare cose che vedevi e basta.
Prende le tue emozioni quando ancora sono uno schermo a 16 colori, e lo trasforma in uno a otto milioni di colori.
Ti regala eroi a cui ispirarti, storie che vorresti fossero la tua, parole che vorresti dire e sentirti dire.
Ti insegna a dare un nome a quello che provi, e a provare sensazioni che non hanno nome. Questo fa.
E, se a scuola la fai studiare come un qualcosa che “serve”, stai già sbagliando. La letteratura non serve. La letteratura fa.  
( Enrico Galiano).             LA LETTERATURA NON SERVE A NIENTE

Cleo Cantù 2F

 

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