In questo 4 novembre, centenario della fine della Prima Guerra Mondiale, mi trovo a Trieste, a casa di mia sorella, proprio nella città a causa della quale questa guerra è stata fatta.
Esco per il mio irrinunciabile piccolo allenamento del mattino, sono le 8.30, poca gente in strada, domenica sonnacchiosa, vado verso Piazza Unità di Italia. Compaiono figure in divise vecchie e nuove; escono dalle macchine, escono dai caffè, tra poco si schiereranno per la parata militare. Mi sento a mio agio tra le divise. Vengo da questa terra e mio padre era un generale, ho vissuto in Friuli e sono cresciuta a pane e celebrazioni, alzabandiera e parate militari, visite a Redipuglia, discorsi di Ministri e sottosegretari sull’italianità di Trieste e sugli eroi della grande guerra. Ma tutto questo non mi è mai stato sufficiente per capire quello che è stato. L’ho imparato dalla memoria: i racconti di mia nonna, i racconti di mio padre e dalla terra del Friuli, dove la grande guerra sembra sia finita ieri l’altro. Non c’è paese, località o strada che non ricordi il massacro che è stato.
Ora sono qui nella Trieste delle grandi contraddizioni, che oggi più di sempre si prepara a rievocare la grande guerra. Ma grande perché?
Si dovrebbe dire solo PRIMA GUERRA MONDIALE, per rispetto a un milione di giovani morti in tutta Europa.
In questa piazza mi aggiro tra divise che conosco bene: i carristi, i corazzieri, la fanteria, gli ufficiali di cavalleria, i marinai, gli aviatori, ci sono persino tre ragazzoni austriaci in divise d’epoca. Mi muovo da un posto di blocco all’altro con la mia divisa da jogging, assolutamente fuori luogo, per l’eleganza della cerimonia, ma mi fermo per respirare questa atmosfera così accurata e accorata.
Sono tante le immagini paterne che tornano alla mia memoria. Con la cartina geografica in mano, unico punto di partenza per capire quello che è successo, mio padre ci raccontava di battaglie, trincee, sangue, fango, dolore e malattie. E tanta fame. Trasmetteva il racconto di suo padre, di mio nonno, lo arricchiva con i suoi studi strategici e voleva farmi capire di cosa è fatta una guerra. Penso a quanta sofferenza è stata tramandata da una generazione all’altra, quanto dolore si trova nelle soffitte dei ricordi di tutti noi: friulani, triestini, italiani. Mi allontano e nel tragitto verso casa incrocio decine e decine di persone che si dirigono verso la piazza Unità, convinti – e io con loro – che niente deve essere dimenticato, che bisogna continuare a raccontare, che riflettere sulle nostre macerie è un fatto importantissimo per capire ciò che siamo.
Prof. Francesca Alletto