Quanto è stato piacevole leggere questo romanzo! Per terminarlo solo una settimana , e questo evento è degno di nota dato che non capita molto spesso che un libro riesca ad appassionarmi a tal punto. Eppure le sue qualità non finiscono qui.
Generalmente prima di iniziare a leggere un libro mi soffermo a guardare la copertina e il titolo e dò un’occhiata alla trama per capire se ha qualche possibilità di piacermi. Ecco, con questo romanzo le mie tattiche si sono rivelate inutili e forse è stato proprio il non sapere a cosa andavo incontro ad avermi spinto ad iniziare la lettura. La copertina è infatti bianca (almeno è così nell’edizione Einaudi) e non presenta né trama né biografia dell’autore. Il titolo inoltre, che in italiano è stato tradotto con il semplice nome del protagonista, è nella versione originale The Catcher in the Rye (letteralmente Il prenditore nella segale), tanto inusuale da attirare la mia attenzione.
Per quale motivo nell’edizione americana il titolo è proprio questo? Cosa c’entra la segale?
Nel corso del racconto si arriva ad una risposta: Holden Caulfield, il protagonista, da grande vorrebbe fare, ispirandosi alla poesia di Robert Burns, colui che prende al volo, prima che cadano da un dirupo, i ragazzini che stanno giocando in un campo di segale. Oltre alla fervida immaginazione del protagonista, in queste sue parole si evince un altruismo vivo.
Nonostante venga subito presentato come un ragazzo lavativo, dato che è stato espulso dalla scuola di Pencey, in Pennsylvania, per non essere riuscito a passare abbastanza esami così come accaduto in altre scuole, è un sedicenne con dei valori.
L’intera vicenda, ambientata nel Natale del 1949, si sviluppa nell’arco di un solo fine settimana, in cui Holden lascia la sua scuola e decide di passare qualche giorno a New York prima di tornare a casa. Durante il suo viaggio sono i suoi pensieri e ricordi a definire il suo carattere: la sua famiglia è un pensiero fisso nella sua mente; non vuole comunicare ai genitori la notizia dell’espulsione per non arrecare altro dolore dopo la morte a soli dieci anni del fratello Allie, desidera essere all’altezza della sorellina Phoebe e critica il fratello D.B., scrittore di successo, per aver iniziato a produrre testi per il cinema di Hollywood ed essersi così reso uguale a tutti gli altri. Holden infatti si presenta come un duro, che beve e fuma come un adulto, ma vive una profonda crisi interiore: non concepisce il mondo in cui vive, fatto solo di ipocrisia e superficialità, vuole differenziarsi, essere così com’è. Non si spiega per quale motivo al cinema si vedono solo balletti o storie irrealistiche, perché gli artisti bravi si accorgono di esserlo e perdono la loro unicità, perché gli autisti pensano solo al loro lavoro frenetico e non riflettono su qualcos’altro come ad esempio chiedersi dove vanno le anatre di inverno quando il lago è ghiacciato (domanda che tormenta il giovane durante tutta la storia), perché i ragazzi pensano solo al sesso e non a trovare l’amore.
L’unica volta che Holden esprime la sua idea di andarsene (in un bar all’amica Sally Hayes), forse nel Massachusetts o nel Vermont , per estraniarsi dalla società e vivere in semplicità, riceve come risposta un rifiuto perché non è possibile fare una cosa così fuori dal normale in una società così ordinaria. Holden risulta infatti essere agli occhi degli altri un ragazzo senza ideali, che non ha idea di cosa fare della sua vita. Per il professor Antolini, suo vecchio insegnante di inglese, la soluzione per non “fare un capitombolo orribile” è applicarsi allo studio. Eppure non riesce a comprendere neanche la scuola dove tutti devono per forza esultare ad una vittoria della squadra di rugby, risolvere una questione facendo a pugni (lui in questo si definisce vigliacco per non riuscire a picchiare nessun seppur volendolo), concentrarsi nelle materie dove conta esprimersi con un filo logico e non seguendo le emozioni.
Holden si sente in gabbia e l’unica ad avere la chiave per liberarlo è la sorella Phoebe, che lo accetta e gli vuole bene per ciò che è. Si dimostra una bambina matura, nonostante i suoi dieci anni, e riesce a farlo riflettere e abbandonare la sua idea quando lui ha intenzione di andarsene. Alla fine del racconto è proprio grazie a Phoebe che Holden trova la vera felicità: guardarla ridere e girare sulla giostra, mentre lui la sta aspettando su una panchina con il suo berretto rosso da cacciatore.
Il giovane Holden è un romanzo di formazione poiché il protagonista cresce e capisce che l’unico modo per sopravvivere in una società difficile è concentrarsi su ciò che ci rende felici.
Certo, da inguaribile romantica, avrei preferito vedere nascere una storia d’amore con la sua vecchia amica Jane Gallagher, che invece rimane solo un’utopia, qualcosa di irraggiungibile, rappresentata da una telefonata che Holden non ha il coraggio di fare, tuttavia mi sono dovuta accontentare di un finale semplice ma chiaro e utile per concludere il processo di crescita del protagonista.
Il punto di forza del romanzo è la narrazione in prima persona attraverso la quale qualunque ragazzo ha la capacità di immedesimarsi in Holden e capire come uscire da un ambiente in cui ci si sente oppressi: trovare la felicità nelle piccole cose è l’unica soluzione.
VERONICA MARZO