La battaglia di San Romano e Caccia notturna (il verum)
Tra gli artisti più eclettici e particolari del 400 italiano merita di essere ricordato Paolo Uccello. In un’epoca caratterizzata dal rigore di Piero della Francesca, quelle di Paolo Uccello sembrano opere astratte, oniriche, per un verso ancora legate a quello stile gotico che ormai tutti gli artisti avevano superato e, per altro verso, in virtù della bellezza astratta e inquietante dei suoi dipinti, sembra anticipare di molti secoli la pittura metafisica del novecento.
La Battaglia di San Romano è un trittico di Paolo Uccello, commissionato da Lionardo di Bartolomeo Bartolini Salimbeni, a tecnica mista su tavola, databile al 1438 circa. La battaglia è rappresentata in tre episodi su altrettanti pannelli, oggi divisi in tre musei: 1) Niccolò da Tolentino alla testa dei fiorentini, 180×316 cm, National Gallery, Londra; 2) Disarcionamento di Bernardino della Carda, 182×323 cm, Uffizi, Firenze; 3) Intervento decisivo a fianco dei fiorentini di Michele Attendolo,182×317 cm, Museo del Louvre, Parigi. (l’unico firmato e probabilmente realizzato per ultimo)
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L’opera Caccia notturna, una delle ultime attribuite a Paolo Uccello, è una scena di caccia notturna in un’enorme foresta, popolata di numerosi cavalieri, servitori, cani da caccia e prede, soprattutto cervi. Il rigore spaziale di Paolo Uccello arriva a disporre con esattezza in prospettiva tutti gli elementi, dagli alberi e le figure, di diversa dimensione a seconda della lontananza, ai tronchi rotti in terra, che sono collocati sulle direttrici della maglia prospettica, come già era avvenuto per le lance nelle scene della Battaglia di San Romano. Nonostante ciò l’effetto generale è innaturale e onirico, per via dello schematismo delle figure, delle tinte piatte che fanno risaltare le silhouettes, le posizioni ripetute e innaturali, che ricordano le sequenze di un balletto. Il manto erboso è popolato da una moltitudine di specie vegetali, indagate con minuzia descrittiva, che richiamano gli stilemi del tardogotico al quale Paolo Uccello fu sempre fedele.
Paolo Uccello, Caccia notturna, Tempera su tavola, 65×165 cm, 1470 circa, Ashmolean Museum, Oxford
In questo dipinto Paolo Uccello rivela il tormento di tutta la sua vita, la ricerca prospettica (si veda lo straordinario ed enigmatico affresco del Diluvio e recessione delle acque, 215×510 cm, realizzato negli anni 1436-1440 nel Chiostro Verde di Santa Maria Novella a Firenze). Il Vasari narra che la moglie lo chiamasse nel letto desiderandolo, ma lui fosse rapito dallo studio della prospettiva. Mi pare che l’estenuante ricerca del punto di fuga riveli il suo timore/desiderio di conoscere il punto di non ritorno, il verum supremo, la morte, mistero ultimo a cui ogni uomo è orientato. Una sera, innominabile e segreta, sognai di trovarmi dentro la Caccia notturna, di essere risucchiato in questo conturbante imbuto prospettico, gorgo notturno senza fine. Al risveglio, non sapevo se ero un uomo che aveva sognato d’essere un cavaliere o un cavaliere che aveva sognato di essere un uomo all’estremo limite del conosciuto (LL).
San Giorgio e il drago (il bonum)
San Giorgio e il drago, Tempera e oro su tavola, 62,2 x 38,8 cm,
1425 circa, National Gallery of Victoria, Melbourne, Australia
Guardando i tre dipinti che Paolo Uccello dedica al modello iconografico del San Giorgio e il drago sembra di entrare in un Medioevo fiabesco abitato per l’appunto da draghi, cavalieri e principesse in pericolo. In quest’opera la battaglia tra il santo e il drago si svolge tutta in primo piano e, secondo un’iconografia assai rara, corpo a corpo. Il santo infatti è già sceso da cavallo ed ha già spezzato la sua lancia, cercando di colpire col mozzicone il drago che lo afferra in vita, con gli artigli e con le spire della coda. In basso la spada giace caduta a terra. Assistono a destra la principessa inginocchiata e il cavallo furente, che si piega ritrosamente. Sullo sfondo una città murata di pieno gusto gotico, intonata su fiabeschi toni azzurri e rosa, è sormontata da una grande apparizione dell’Eterno benedicente, in una raggiera incisa sul fondo oro. Salta all’occhio l’assenza di un interesse prospettico con gli edifici incisi a mano libera sulla preparazione, o nel mancato scorcio della spada abbandonata, sebbene invece la lancia sia invece posata in posizione ordinatamente orizzontale. Di sapore ancora medievale, e quindi compatibili solo con una datazione piuttosto precoce, è poi l’uso estensivo delle lacche, verdi su ali e corpo del drago, nerastre sull’armatura argentata del santo, rosse sulla tiara di Dio Padre. Tocchi d’oro ravvivano alcuni dettagli della parte inferiore, come nelle ali del drago o nell’aureola del santo, dall’inconsueta forma a raggiera, o ancora nei gioielli della principessa e nei finimenti della bardatura del cavallo. I colori chiari e luminosi, dalle tonalità astratte, venivano in quegli anni ripresi e sviluppati rispetto ai precedenti gotici dalle prime opere di Beato Angelico, con una preferenza per le tonalità azzurre e rosa riscontrabile anche nell’unica opera attribuita con relativa sicurezza alla fase giovanile di Paolo Uccello, l’Annunciazione di Oxford. In tale opera compaiono anche alcune aureole a raggiera, simili a quella del Dio Padre, e la stessa figura dell’Eterno è del medesimo tipo fisico, con barba e capelli voluminosi e indossante un triregno. Le rocce scheggiate, motivo di origine bizantina popolare per tutto il medioevo, si piegano qui in maniera più morbida.
San Giorgio e il drago, Olio su tela, 57×73 cm, 1456 circa, National Gallery, Londra
Nel San Giorgio e il drago dipinto tra il 1450 e il 1460, le tre figure sono poste in un ambientazione paesaggistica all’aperto: una grotta sulla sinistra copre parte del cielo scuro in cui si intravede lo spicchio della Luna, e sulla destra avanza un groviglio turbinoso di nuvole, presagio di una possibile tempesta. La principessa assiste al combattimento tra il mostro e il cavaliere con un atteggiamento impassibile: ha la bocca semi aperta ma non mostra ne timore ne spavento. Sembra quasi incorporea, senza peso, e più che essere lei la prigioniera pare tenere al guinzaglio il drago. Il cavaliere, San Giorgio, sta colpendo con la lancia il drago: anche lui non mostra la rabbia o il vigore che in quel momento, mentre sta attaccando, dovrebbe mostrare. L’unico accenno di violenza della scena è il sangue che sgorga dalle fauci del drago. L’opera ritrae il cavaliere san Giorgio mentre dall’alto del suo cavallo sta trafiggendo lo spaventoso drago che tiene legata la principessa da salvare, anche se sembra che sia lei a tenerlo al guinzaglio. San Giorgio è l’emblema della ragione che trionfa sulla bestialità. Lo sfondo è composto dalla grotta dove il drago ha il suo antro e di un sereno paesaggio con un turbine di nuvole sopra San Giorgio, a simboleggiare il suo vigore guerriero. Il ciclone dietro san Giorgio è composto da un vortice di nubi, che sembra anticipare gli studi dal vero di Leonardo da Vinci. Il suolo è composto da siepi quadrangolari disegnate secondo le regole della prospettiva lineare centrica, della quale Paolo Uccello fu uno dei primi maestri. Nonostante la rigorosità della costruzione, la disposizione dei protagonisti non dà un’idea convincente di profondità, essendo semplicemente giustapposti allo sfondo, tanto che non proiettano nemmeno le ombre in terra. La principessa poi, così longilinea, composta e aristocratica, sembra presa dalla cultura tardogotica, facendo di questa tavola un’opera di transizione tra il Rinascimento e la cultura gotica, dove sono presenti alcuni elementi innovativi ma ne mancano altri. Non mancano infatti accenni fiabeschi o paradossali, come il guinzaglio con cui la principessa tiene lo stravagante drago o la sottilissima lancia, che nella realtà sarebbe estremamente fragile.
San Giorgio e il drago, 52×90 cm, 1460, Museo Jacquemart-André, Parigi
Nel San Giorgio e il drago collocato nel museo parigino, Paolo Uccello si concede un accenno di ombra al suolo, ma la resa delle figure appare più schematica rispetto al San Giorgio di Londra.
Madonna Martello e Crocifissione (il pulchrum)
Madonna Martello, Tempera e oro su tavola, 67 x 46 cm, 1420 circa, Collezione Martello, Fiesole
La Madonna Martello è dipinta a mezza figura su fondo oro; la scena è pervasa da una luce intensa che fa stagliare fortemente i volumi tondeggianti dei volti e del tenero corpicino del Bambino. Alla staticità della Madonna, l’artista contrappone un senso di movimento del mantello con una sinuosa piega sotto Gesù, e la vivacità del Bambino. L’incatenarsi di Madre e figlio nell’incrocio tra le gambe e le mani, così come la posa sciolta e confidenziale del Bambino che tende le braccia a semicerchio attorno al collo della madre, derivano dai migliori esempi trecenteschi, come le Madonne di Ambrogio Lorenzetti. Come nella Madonna di Ognissanti di Giotto, il Bambino dischiude impercettibilmente la bocca, rivelando appena i dentini, con un’espressione vispa e paffuta che risente forse dei primi lavori di Donatello. La rotazione del volto del Bambino è stimolata da un uccellino, grande come una farfalla, di cui è rimasta la sola silhouette a destra. Si tratta probabilmente di un richiamo al cardellino, simbolo della Passione.
Crocifissione, 1460-65, Tempera su legno, 45 x 67 cm, Museo Thyssen-Boernemisza, Madrid
Ho avuto la fortuna di ammirare questo quadro quando la Collezione Thyssen-Boernemisza era a Lugano. Ricordo il contrasto fra il senso di desolazione del paesaggio, quel tetro fondale color nero pece (si fece buio su tutta la terra, Matteo 15,33), i quattro personaggi ai piedi del Cristo morto con i movimenti dello stupore e della sofferenza, e la croce di legno, quello sfolgorante giallo Oro di Luce Divina, rimando alla Gloria, simbolo di futura Risurrezione.
Prof. Lanzi